IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / C – La Chiesa: comunità di profeti

Il Vangelo, di don Stefano Dell'Angelo

Dal Vangelo di Luca (4,21-30):

In quel tempo, Gesù prese a dire nella sinagoga: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita coi vostri orecchi”.

Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è il figlio di Giuseppe?”. Ma egli rispose: “Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. Poi aggiunse: “Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Zarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato, se non Naaman il Siro”.

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro se ne andò.


Spesso nel nostro parlare corrente non distinguiamo una parola da un’altra, per cui attribuiamo a determinate parole un significato che non le compete. Uno di questi casi si avvera con le parole “profezia”, “profeta” e “profetare”. Quando si usano queste parole il nostro pensiero corre subito al futuro, al domani. Invece:

-la profezia non è qualcosa detto oggi e che accadrà domani;

-il profeta non è colui che ci dice cosa accadrà in seguito;

-profetare non significa annunciare cose future, altrimenti bisognerebbe usare le parole “prevedere, predire, ecc.”. Tutt’altro:

+la profezia è un qualcosa detto a nome di un altro;

+il profeta è colui che parla a nome di un altro;

+profetare significa parlare a nome di un altro.

Fatte queste precisazioni, veniamo alla Liturgia di oggi che possiamo riassumere in questi termini: prima di Cristo Dio aveva i suoi profeti presso il popolo (e viceversa), i quali erano tali non solo per il singolo popolo ebreo, ma per tutti i popoli (il profeta Geremia, per esempio). Gesù stesso si è presentato come il profeta che compie la sua missione così come vuole Dio. La Chiesa, corpo di Cristo che è il suo capo, è una comunità di profeti e dato che siamo noi la Chiesa, noi battezzati siamo profeti.

Ma che significa oggi essere profeta?

Geremia, il profeta ricordato poc’anzi, dice (1,4-5.17-19) che noi siamo creature di Dio, il quale liberamente ci elegge e destina a un compito ben preciso: essere suoi profeti. Dio, però, non manda allo sbaraglio: se chiede coraggio è perché darà sostegno e forza, assicurando di essere sempre vicino al suo profeta; solo se questi indietreggerà, solo se verrà meno Dio lo esporrà all’umiliazione di una paura più grande di quella umana.                                                                   

Il profeta, dunque, è la coscienza critica del popolo, non in nome di una logica umana, ma in nome di Dio stesso. Il profeta è un uomo che si schiera contro tutto ciò che è male: denuncia con fermezza i vizi del popolo, la falsità del culto, gli abusi di potere, ogni forma di idolatria e di ingiustizia, ogni tentativo di mettere Dio a servizio dei nostri fini e interessi. Tutto al fine di invitare alla conversione personale e collettiva. Questo comportamento è fatto per amore a Dio e per amore all’uomo. Il profeta che agisce in questo modo, logicamente diventa il difensore degli oppressi, dei deboli, degli emarginati; si schiera sempre dalla loro parte, è il loro portavoce.

Quanto detto finora si realizza al massimo grado in Gesù, il profeta per eccellenza. Nel Vangelo Gesù si è rivelato come colui nel quale si compiono le profezie e come lo scriba per eccellenza. E a tali prerogative, nel brano evangelico di cui innanzi, Gesù aggiunge quella di profeta che compie perfettamente la sua missione. Come a Elia e Eliseo fu data la possibilità di aiutare non i propri conterranei ma degli estranei, così avviene per Gesù. Dio dà i suoi doni e chi vuole e nessuno può accampare diritti.

Il parlare di Gesù porta gli ascoltatori a una reazione violenta, invece che a un atto di fede in Lui, che viene a liberare e  a portare salvezza non solo ai Giudei ma a tutti gli uomini. Ecco allora la differenza tra Gesù e gli altri profeti: mentre il profeta porta gli uomini all’alleanza, a una comunione di amore con Dio, l’Uomo-Dio e Profeta Gesù è l’alleanza, la comunione di amore perfetta tra gli uomini e Dio. Egli non solo parla a nome di Dio, ma è Dio stesso che parla. Gesù è la profezia e nello stesso tempo l’oggetto della profezia.

Come corpo di Cristo, la Chiesa partecipa al carisma profetico del suo Capo ed è la comunità profetica concretamente, in quanto è la comunità di amore gratuito ed universale, come afferma San Paolo. Ai Corinzi (1 Cor 12,31 – 13,13) che aspirano ai carismi che danno maggiore appariscenza,  Paolo insegna una via migliore: quella dell’agàpe, quella dell’amore che Dio, senza favoritismi, riversa su tutti, anche sui nemici, ed è l’unico amore che fatto proprio dai cristiani può costruire un’umanità senza barriere.

Domandiamoci: siamo veri profeti? Denunciamo le ingiustizie e ogni forma di male? O siamo addirittura noi a farle? Che carisma abbiamo avuto da Dio?

Don Stefano Dell’Angelo

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