La Bagnoli del Settecento riscostruita attraverso il Catasto Onciario

La necessità di dare un ordine di prelievo fiscale omogeneo in tutto il Regno di Napoli indusse Carlo III di Borbone all’istituzione del Catasto onciario, disposto con dispaccio del 4 ottobre 1740. I lavori iniziarono con l’emanazione della prammatica De catastis del 17 marzo 1741 che prevedeva la valutazione dei beni in relazione alla loro rendita e distingueva i contribuenti tra cittadini e forestieri, laici ed ecclesiastici, iscrivendo tutti gli abitanti del Regno e calcolando le imposte in relazione allo ‘status’ delle persone e dei beni. Il Catasto Onciario costituisce, dunque, un importante documento, in quanto rappresenta la fotografia della comunità bagnolese a metà del XVIII secolo. GT

Nel 1744 la popolazione di Bagnoli ascendeva a 3092 abitanti. Tra essi vi erano sette dottori in legge: Acciano Francesco, Bruno Nicola, Cione Lorenzo, Grassi Angelo, Pallante Donatantonio, Pallante Giovanni avvocato fiscale della R. Ud di Salerno e Sanduzzi Stefano. Questi, per il loro titolo di studio, erano esenti dalla tassa sulla testa. Godevano della medesima esenzione i sessagenari, impotenti a qualsiasi lavoro e i privilegiati, cioè quelli che vivevano nobilmente (avevano tale qualifica le famiglie: Acciano, Avena, Bruno, De Rogatis, Gargano, Grassi, Pallante, Pescatori e  Sanduzzi), od anche soltanto civilmente (avevano tale qualifica le famiglie: Caprio, Celli, De Nicastro, Iuppa), i medici che erano tre (Onorio e Vincenzo Gargano e Marco Vecchi) ed altrettanti farmacisti (Michele Lenzi, Giovanni Preziuso e Luca Cione di Leonardo). I sacerdoti erano 24, dei quali 12 costituivano il Capitolo della Collegiata. Tra i lavoratori della terra, (tranne quei pochi, i quali attendevano alla coltivazione diretta delle proprie terre) molto numerosi erano i braccianti che ascendevano al numero di 479 quelli, che lavoravano per altri, a giornata, o prendevano in fitto degli appezzamenti di terreno o dentro i confini del comune, o fuori, nelle contrade, già boscose di: Fiorentino, Oppido, le Cesine. Era molto in regresso l’industria armentizia, i cui capi ascendevano a 3444, appena un terzo di quelli del secolo precedente. Per i traffici servivano 250 muli e 229 asini. Altri operai si guadagnavano da vivere con l’utilizzazione del legname dei boschi. Quattro negozianti smerciavano i prodotti di 118 operai, che lavoravano questo materiale, e tra essi 23 mannesi che lavoravano di scure ad abbattere gli alberi, oltre 28 staiellari, 14 sportellari, 15 falegnami. Numerosissimi i calzolai (91) che mandavano a vendere in giro i loro manufatti. I sarti erano 20, tre i fabbricanti di maccheroni, 4 gli speziali, che in parte utilizzavano il miele, forniti da 17 industriali, che compravano i favi e ne separavano il miele dalla cera. I negozi di cibarie erano 2, 5 quelli di tessuti, oltre i camminanti che andavano in giro a vendere per fiere e mercati.

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