Il lavoro svolto dagli alunni della classe I B, indirizzo Chimico e Materiale Biologico, dell’ITT di Montella, nasce come momento di riflessione all’interno di un concorso letterario indetto per ricordare la storia degli internati italiani.
Quando tutto intorno spirano venti funesti di guerre, di nazionalismi, di stermini di massa, una flebile voce di pace si innalza da un manipolo di studenti. La speranza che perdura.
La banalità del male ( Hannah Arendt)
In tutte le epoche l’umanità ha sentito il respiro freddo della guerra alle sue spalle. Il Ventesimo secolo è stato attraversato da guerre terrificanti, nei precedenti non è andata meglio e quello appena inaugurato minaccia di essere il seguito dello stesso orrore. Focolai di guerra sono lo spettro di una probabile III guerra mondiale. La guerra, ci hanno detto fino alla noia, la facciamo contro il nemico, contro chi vuole dominarci, sfruttarci , violare il principio di autodeterminazione dei popoli. E non solo. Il nemico è anche il povero, l’emigrante che attraversa il mare su gusci di piccoli sogni e ci invade. Il nemico è la vittima di secoli di saccheggio delle risorse energetiche, cui sono state negate tutte le possibilità di sviluppo sociale e culturale, affossandolo in fondamentalismi religiosi consentiti e alimentati a nostro vantaggio.
Dalle strutture si elevano sovrastrutture mentali che giustificano l’ardore guerrafondaio. Un uomo, un presunto statista il cui nome deve essere cancellato dalla storia, ha detto che < la guerra è la continuazione della politica , semplicemente con altri mezzi>, e gli apprendisti strateghi non hanno esitato a ripetere questa mostruosa affermazione, legittimando e facendo diventare la guerra un’altra forma della politica. A nulla è valso il lavoro svolto dai poeti e scrittori che con l’utilizzo della parola hanno stigmatizzato la guerra esaltando il valore della pace tra gli uomini. Abbiamo creduto nel potere anticipatore della parola, ci siamo convinti che a forza di nominare le cose queste esistano, ma con la parola pace non abbiamo mai avuto successo pur intuendone il magnifico splendore. E così pagine di letteratura hanno demonizzato le scelleratezze umane, tele dipinte e documenti fotografici, tanta roba forse pure troppa, ci hanno mostrato eserciti schierati nella campagna poco prima della battaglia ben armati e composti, pronti a fronteggiare un altro esercito <con lo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore>, mutuando un’espressione di De Andrè . Ma, lo sguardo si ferma alle immagini e la mente non riesce a cogliere la verità di quegli uomini: nessuno può capire la paura di quelli schierati davanti sicuri di essere i primi a cadere, né l’orrore di quelli in seconda e in terza fila, sicuri di cadere sui corpi dei compagni.
Nessun artista ha mai dipinto il dopo della battaglia, il ritorno dei sopravvissuti, dei pastori, degli artigiani, dei contadini e degli studenti trasformati in assassini. La storia scritta dai vincitori ha sempre cantato la grandezza della guerra e dei condottieri ma i protagonisti sono rimasti muti perché in guerra muoiono tutti e si salvano solo le spoglie dell’umanità. Sì, proprio così. Causa ed effetto si centrifugano e diventano un tutt’uno: l’uomo rimane inerme a contemplare le sue miserie materiali e morali, con un habitus mentale governato da cinismo e malevolenza.
In “Napoli milionaria”, Eduardo De Filippo affronta la dissoluzione di una famiglia che, durante la guerra, spinta dalla miseria deve arrangiarsi con la borsa nera senza guardare in faccia a nessuno; senza volerlo si cambia e ciò che si era prima fa parte di un passato che è scomparso. Nelle coscienze si annidano l’odio , la paura , la fame , l’intolleranza e il nemico diventa il vicino , il povero , l’emigrante. Il protagonista Gennaro Iovine continuamente ripete che <la guerra non è finita, non è finita> , come a dire che gli effetti prodotti dalla catastrofe si susseguono nel tempo in modo subdolo e persistente. Gennaro dopo l’armistizio dell’8 settembre viene catturato dai nazisti , con la sua divisa da tramviere viene scambiato per un soldato italiano e mandato in un campo di concentramento tedesco. Finita la guerra ritorna a casa , nel suo vicolo a Forcella trova la famiglia e i conoscenti molto cambiati nell’animo e nel modo di agire e pensare la vita. Gennaro sente particolarmente la distanza tra questa realtà e quella vissuta in prigionia. Vorrebbe raccontare la sua esperienza tragica, ma nessuno l‘ascolta, nessuno vuol sentir parlare di guerra. Molte volte inizia un racconto “Mmiez’a a na campagna, annascuosto dint’a nu fuosso, perché fuori chiuvevano granate e cannunate insieme ad altri priggiunieri ebrei…..”, ma viene sempre interrotto dal suo interlocutore di turno; sono tante le tragedie vissute da tutti e tanta è la voglia di dimenticarle che nessuno ha piacere ad ascoltare storie di guai , di morti e di sofferenze. Questo spiega il motivo per cui tanti ebrei superstiti alla furia omicida dei lager tornano a casa coperti di vergogna per il modo di comportarsi talvolta animalesco, un modus operandi acquisito per fronteggiare le asperità dei campi di prigionia. Come più volte detto dalla senatrice Liliana Segre , si ritornava dalla guerra abbrutiti dalla fame, dalle fatiche, dagli stenti , dalla perdita della propria identità , con una mente devastata dal terrore . Per anni la stampa tace sulla vicenda della Shoah perché gli orrori vissuti sono indicibili e inimmaginabili
Nell’oblio dei tempi storici finisce anche la vicenda degli internati militari italiani, la cosiddetta storia degli IMI, dei 650mila soldati che, dopo l’armistizio, considerati traditori e infami sono catturati e deportati dai tedeschi. L’offerta di aderire alle SS o alla repubblica di Salò ed essere rimpatriati viene accettata solo da una minoranza ; la massa sceglie di rimanere prigioniera nei lager, come autentico atto di resistenza al nemico.
Dopo l’armistizio di Cassibile, che sigla l’accordo con gli anglo-americani, avviene l’invasione tedesca: da alleata la Germania di Hitler diventa nemica e predatrice sul nostro territorio. Mussolini liberato dal carcere sul Gran Sasso viene costretto a instaurare una nuova dittatura fascista con l’istituzione della Repubblica di Salò e a compattare un esercito che affianchi i nazisti contro gli antifascisti che ingrossano le file dei partigiani. Ne scaturisce una guerra fratricida. Gli internati italiani, senza nessun slancio eroico o di codardia, decidono consapevolmente di declinare la richiesta di unirsi ai fascisti perché non tollerano più la guerra soprattutto se devono stare dalla parte sbagliata. Parliamo di soldati che sono chiamati alle armi senza avere nessuna preparazione militare, perlopiù contadini e operai senza cultura che sedotti dai discorsi reboanti di Mussolini avevano combattuto senza capirne il senso . Nei lager vivono la stessa condizione aberrante degli ebrei , dei comunisti , dei rom, degli omosessuali.
Vivono esperienze che lasciano segni profondi nel loro animo. I pochi sopravvissuti ritornano a casa in sordina e, senza avere la giusta visibilità , si chiudono nei loro silenzi e provano addirittura vergogna a raccontare…..a raccontare.
Nell’ultimo ventennio una ricchissima mole di diari, lettere e testimonianze dirette, le vicissitudini sottaciute per decenni dei tanti reduci di guerra sono diventate attestazioni significative. Come la narrazione del signore Gaetano Iannella morto nel 2016 a Montella. Questi prima di morire è stato insignito della medaglia al valor militare conferita dal Presidente della Repubblica durante una manifestazione che l’ha visto finalmente protagonista e testimone de visu degli eccidi nazisti. Ascoltando l’intervista colpisce la sofferenza impressa ancora nei suoi occhi perché < al solo ricordo si rinnova la paura>, come direbbe Dante.
Questi uomini lasciano una forte eredità per le generazioni future che devono custodire e proteggere i valori della pace, della libertà e della democrazia: pilastri fondamentali della nostra Costituzione. E la repubblica, la Costituzione, la democrazia ritrovata e riscattata, le istituzioni che nascono dopo , hanno la loro fonte di legittimità in quella ribellione armata dei partigiani contro la dittatura fascista. La resistenza ha creato il deposito della nostra autonomia nazionale. Senza la cultura di questi principi siamo spiaggiati ed esposti al piffero del <salvatore di turno> che ci dice seguitemi in modo accattivante, trasformandoci così da cittadini in follower privi della nostra soggettività e capacità di pensare il meglio per noi stessi.
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