Problemi di stratificazione storica e restauro del convento di San Domenico
di Alfonso Gambardella
Il documento storico che vi proponiamo è datato 1969 ed è una pubblicazione curata dallo storico dell’architettura Alfonso Gambardella sulla chiesa ed il convento di San Domenico. Il testo propone al lettore un excursus storico sul complesso monumentale, che risultava fatiscente già in quel periodo, a cui fa seguito un’idea di restauro della struttura.
Alcune delle soluzioni proposte, un mix fra restauro conservativo e istallazioni contemporanee, viste con i modelli moderni, potrebbero sembrare fuori luogo e non adatte ad una struttura realizzata a cavallo fra il XV e il XVI secolo, ma se si contestualizza il testo nell’epoca in cui è stato realizzato ci si rende conto che fino a qualche decennio fa si prediligevano le tecniche di costruzioni moderne per l’epoca piuttosto che restauro conservativo e la valorizzazione dei monumenti nella forma originale, ne testimonia il fatto che, il complesso di san Domenico, nel corso dei secoli ha subito varie ristrutturazioni, modifiche e ampliamenti e non sempre le soluzioni adottate sono risultate appropriate al contesto.
Per una più agevole lettura abbiamo deciso di dividere il testo in due parti. Oggi vi proponiamo la prima parte dedicata alla storia del convento di san Domenico, la seconda parte, dedicata al restauro del complesso, verrà pubblicata nei prossimi giorni. Buona lettura. GT
La chiesa ed il convento di San Domenico in Bagnoli Irpino
Problemi di stratificazione storica e restauro
La chiesa ed il convento di S. Domenico furono edificati su di un’altura dominante il nucleo antico di Bagnoli Irpino, che nel sedicesimo secolo si sviluppò in direzione dell’importante monumento fino ad inglobarlo. In origine il complesso conventuale, fatto erigere dalle contesse di Cavaniglia Giulia Caracciolo e Margherita Orsini, per onorare la memoria dei mariti, periti in guerra, fu consacrato a S. Maria di Loreto. (1)
A seguito dei lavori di ampliamento cinquecenteschi, il complesso monastico retto da frati domenicani, cambiò denominazione e fu dedicato a S. Domenico. Un documento del 7 agosto 1574, nel quale si dà notizia della fondazione della congrega di S. Bernardino, menziona per la prima volta l’episodio in esame con la denominazione attuale. (2)
Controverso è l’anno di fondazione dell’impianto primitivo; alcuni studiosi, tra i quali il De Rosa, propongono di attribuire all’anno 1481 l’inizio delle opere ed al 1485 il compimento.(3) Il Sanduzzi sostiene, al contrario, che l’edificazione della chiesa e del convento ebbe inizio nel 1485 per essere completata nel 1488. (4) Le tesi dei due studiosi sono confortate dallo stesso documento e cioè dalla «bolla» con cui il superiore dell’ordine dei domenicani concedeva, il 28 marzo 1485, l’autorizzazione alla donazione del convento di S. Maria di Loreto di Bagnoli Irpino, nella diocesi di Nusco, ai frati dell’ordine. (5)
Alcune considerazioni sugli avvenimenti politici, che caratterizzarono la vita sociale della contea, inducono a ritenere giusta la datazione del Sanduzzi. Infatti nel 1485, il fortunato epilogo della seconda congiura dei baroni angioini costrinse le contesse di Cavaniglia, fedeli alla casa d’Aragona, ad allontanarsi da Bagnoli; (6) tale circostanza dovette presumibilmente suggerire, all’ignoto architetto del complesso di S. Maria di Loreto, l’inserimento nel progetto originario, al fine di assicurare una rapida conduzione dei lavori, di membrature angioine, come induce a considerare la presenza di alcuni capitelli, ancora in opera o conservati nel pronao. Lo stesso De Rosa fornisce una preziosa testimonianza di come ancora all’inizio di questo secolo frammenti di cornici, colonne e capitelli, suggerivano che lo «stile primitivo della chiesa era archiacuto-romanico». (7) Non ci è stato possibile reperire in alcun documento una descrizione del primitivo impianto; sappiamo che la chiesa era di proporzioni ridotte rispetto all’attuale e che il convento non doveva estendersi oltre il primo chiostro. (8)
Il complesso monastico, che aveva assunto grande importanza nella vita cittadina e che era divenuto sede delle riunioni dell’università, fu ingrandito intorno al 1536 per merito del domenicano Ambrogio Salvio, cittadino bagnolese. Questi, oratore di grande rinomanza – tanto da essere chiamato a pronunziare l’orazione per l’ingresso in Napoli di Carlo V, reduce dalla vittoria di Tunisi – impiegò tutti i proventi della sua attività di predicatore per ingrandire il convento della sua città natale. (9)
Il Sanduzzi riporta un atto del 16 novembre 1575, del notaio De Rogato, che documenta come «detto Frate Ambrosio ha speso alla custodia del S.S. colonne di marmo, architravi, Frisi, Cornicioni e Cupole alle basi maggiori a fundamentis, archi d’intagli, volte finestre ed altri ornamenti, ducati mille. Ha speso di più ducati seimila al Campanile di pietra di marmo, architravi, ed all’atrio della Chiesa con sei grosse colonne ed una piazza grandissima, avanti, detta chiesa. Ha speso dipiù ducati duemila alla Libreria, cioè porte finestre, ferriate, intempiatura, banchi, ferri, catene libri ed altri ornamenti. Ha speso ducati duemila alle camere dedicate per l’infermeria ed ospizio dei Frati. Dipiù ducati duemila due-cento per sussidio allo studio». (10) Dalla descrizione trascritta, risulta l’importanza dei lavori eseguiti negli anni che vanno dal 1535 al 1576 quando il convento si arricchì di un seminario con biblioteca ed infermeria. Il monastero assunse allora le dimensioni che dovette conservare sino al secolo scorso quando, per la soppressione del 1808, iniziò una lenta rovina dell’edificio. (11)
Il complesso conventuale si componeva nel 1816 di «22 vani soprani e di 8 sottani», come risulta dagli accertamenti fatti quell’anno per la formazione del catasto. I vani erano ubicati ai lati di due chiostri di cui il primo, a due piani, è ancora esistente. Il secondo atrio costruito durante i lavori di ampliamento voluti dal Salvio, per il naturale declivio del terreno, fu realizzato sul lato nord-ovest della fabbrica, a livello del secondo piano del primo chiostro. Oggi purtroppo, solo la presenza di capitelli, su cui poggiavano degli archi trasversali, e le parti terminali degli archi stessi, restano a testimonianza dell’antico corpo di fabbrica che doveva estendersi oltre l’attuale strada, di recente tracciata ed asfaltata lungo il lato nord-ovest del convento.
La chiesa, preceduta da un profondo pronao a sei colonne, ha l’interno a croce latina a tre navate, divise da tre grandi arcate, ed un ampio transetto. Un grande coro rettangolare è ubicato dietro l’altare maggiore, secondo un’innovazione sperimentata dal Salvio nella trasformazione della chiesa del convento napoletano di S. Pietro martire, di cui era priore nel 1551. (12) Tale accorgimento, poiché consentiva di tenere la navata centrale completamente libera, fu in seguito largamente adottato nella icnografia delle nuove chiese. Il Salvio, oltre ai lavori di trasformazione di S. Pietro martire, aveva promosso, durante il suo soggiorno napoletano, altre importanti opere, quali la costruzione della chiesa dello Spirito Santo e del convento di S. Tommaso d’Aquino. Architetto delle due fabbriche fatte edificare dall’illustre domenicano bagnolese fu Giuseppe Donzelli detto Fra Nuvolo, che ebbe modo di prestare la sua opera anche per alcuni lavori di trasformazione del convento di S. Pietro martire. La presenza di Fra Nuvolo nella progettazione ed esecuzione delle tre importanti opere napoletane volute dal Salvio potrebbe indurre ad attribuire allo stesso autore l’ampliamento del convento di S. Maria di Loreto.
Una tale ipotesi non sembra essere confortata dalla lettura del monumento; poco attendibile sarebbe anche il voler considerare l’episodio in esame una produzione giovanile dell’architetto della chiesa napoletana di S. Maria della Sanità. Più giusto sarebbe ipotizzare che il Salvio abbia commesso le opere ad un artista manierista, conosciuto in ambiente romano, dove soggiornò a lungo, dal momento che nessuna fabbrica del Cinquecento napoletano può essere messa in rapporto con il convento di Bagnoli. Alcuni temi della ricerca manierista sono qui presenti, quali il recupero di valenze medievaliste, particolarmente evidenti nella torre campanaria, espresse sia nel forte toro basamentale, sia nella rastremazione del primo ordine, concepito a guisa di un elemento di fortificazione- soluzione che richiama il napoletano campanile della chiesa angioina di S. Chiara -ed ancora nelle aperture a feritoia del secondo ordine e nella prevalenza dei pieni sui vuoti. Contribuisce a confermare la classificazione di questo monumento tra gli edifici manieristi, la persistenza dell’idea del classicismo, contestata però nei singoli elementi della composizione, come appare chiaro nel recupero, nelle pareti della navata centrale, del tema classico del pilastro con lesena centrale che affida all’elemento strutturale la funzione statica di reggere le arcate; le lesene, che qui sostituiscono le semicolonne, vengono prolungate sino a reggere la trabeazione del primo ordine, non più continua, come negli esempi classici, ma seguente l’andamento rilevato delle lesene stesse. La greve massività dei pilastri e degli intradossi degli archi viene contestata dalla presenza di un toro, inserito in una riquadratura modanata, con il chiaro intento di porre in crisi la staticità dell’elemento strutturale. (13)
Anche la composizione parietale del secondo ordine della torre campanaria, presenta delle peculiarità che vanno sottolineate. Chiaro è l’in-tento dell’ignoto architetto di rifarsi alla cella di un tempio in antis; la spazialità classica viene però annullata e dalla verticalità dell’episodio e dalla muratura di tompagno che, ricomponendo l’unità parietale, affida gli effetti chiaroscurali al solo contrasto degli elementi materici e cioè al travertino delle paraste centrali scanalate e delle due spalle di muratura — che alludono ai muri terminali della cella — ed all’intonaco grezzo che copre il tompagno.
Una particolare conferma del gusto manierista della fabbrica viene fornita dalla composizione del pronao d’ingresso, strettamente legato, da un lato, alla torre campanaria, e concluso sul lato opposto da una mura-tura che, pur nel limitato spazio a disposizione, sottolinea il rapporto dialettico tra pieni e vuoti. La continuità dell’alta trabeazione, su tutto il prospetto del lato d’accesso e che prosegue lungo i lati del campanile e del muro terminale a sinistra del portico, conferisce unità alla composi-zione e ribadisce l’intento di bilanciare la profondità del pronao con una trattazione unitaria delle superfici. Il tema del peruzziano palazzo Massimo alla Colonne, è qui svolto in chiave provinciale, anzi si direbbe che l’adesione al lessico del Peruzzi avvenga filtrata attraverso letture trattatistiche in voga in quegli anni.
Alfonso Gambardella
Fine Prima Parte
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