La Soglia -la più recente scultura di Maria Rachele Branca- dissolve il confine tra scultura e mito: un punto di passaggio tra due mondi, tra territori ibridi, nei quali lo spettatore si confronta con i concetti di spazio e tempo, di inclusione ed esclusione.
Il mito, qui inscritto nell’archeologia irpina, ci riconduce a Mefite, che, in quanto divinità italica che presiede il passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti, diviene un’allegorica rappresentazione del confine. In continuità con il culto pagano, ne La Soglia la dea assurge, dunque, al ruolo di guardiana liminare.
Sovrintendendo alla procreazione, quanto alla fertilità del raccolto e alla florida abbondanza dei pascoli, Mefite incarna un archetipo della Grande Madre, protettrice della natura quanto dell’universo femminile. La sovrumana custode di questo limine mostra una fenditura nella terracotta che, tra torace ed inguine, sembra mettere in risalto un richiamo al grembo materno, quale allusione alla vita e al potere salvifico dell’amore in opposizione all’attività guerrafondaia e all’azione mortifera che ne deriva, associata alla sfera del maschile.
Concettualmente La Soglia rappresenta un varco empirico tra le tre dimensioni temporali. In tal senso, la scultura cessa di essere un oggetto per diventare un luogo metafisico, contingente nella sua contemplazione del passato recente e nel suo sguardo -quanto le sue ombre- proiettato all’imminente futuro.
Quale sua manifestazione nel nostro presente, la guardiana scava nelle angosce del vivere contemporaneo, imponendo di fermarci a riconsiderare ogni esperienza, senza rinnegare nessuna conoscenza, perché il non avere memoria porterà inevitabilmente ad inciampare nei propri passi verso l’avvenire.
Testo critico di Rossella Della Vecchia
Ph Martin Di Lucia
LA SOGLIA, 2021
(terracotta refrattaria e legno, 100x27x25 cm)
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