Lapide al Tenente Federico Frasca, di Bagnoli Irpino, storicamente da rifare
di Antonio Camuso
(Approfondimenti storici su un ricordo del nostro tragico passato)
Questo mio piccolo saggio, sulla lapide commemorativa al Tenente Federico Frasca a Bagnoli I., vuol far riflettere su come la manipolazione della Storia, sia lesiva del nostro comune patrimonio culturale , ma anche della memoria di chi diede la vita per ideali che potremmo non condividere ma di cui dobbiamo dar atto di coerenza verso chi si sacrificò per essi.
L’Italia e l’Impero
Il 6 maggio 1936 i giornali uscivano in edizione straordinaria:Addis Abeba è caduta e il Negus è in fuga. Il 9 maggio Benito Mussolini annunciava :”- L’Etiopia è italiana, abbiamo un Impero!”-
Quanto fossero illusorie e false quelle roboanti paroli gli italiani se ne accorsero pochi anni dopo, con la seconda guerra mondiale, la perdita delle coloni e un pesante bilancio finale in morti e danni incalcolabili. Di una di queste vittime rimane ancor oggi un ricordo a Bagnoli Irpino con una lapide affissa all’ingresso di Palazzo Tenta, ex sede del Municipio.
Il testo della lapide sulla facciata di Palazzo Tenta a Bagnoli Irpino.
Federico Frasca tenente del IV artiglieria d’armata, il 31 marzo 1936- XIV EF , immolava nella battaglia di lago Ascianghi , l’impavida giovinezza sognante. Ne splendono il nome e la gloria nell’epopea dell’impero , simboli della gente irpina, e della missione di Roma.
La cronaca dell’annuncio della morte.
Dal “Roma 29 aprile 1936” .
Ten. Federico Frasca, Presente!
AVELLINO, 28 aprile Con il più grande cordoglio la cittadinanza avellinese e quella di Bagnoli Irpina ha appreso la eroica morte del tenente Federico Frasca,figliuolo dell’avv. Tommaso, appartenente ad una delle più nobili famiglie irpine.
Egli si arruolò volontario e fu ammesso all’Accademia militare nel 1930. Nominato sottotenente di artiglieria nel 1932 si distinse per intelligenza e disciplina. Fu quindi nominato tenente nel 1934.
Ha partecipato a tutti gli scontri e battaglie… e fu proposto per la medaglia al valore; nella seconda battaglia del Tembien ebbe col suo terzo gruppo l’elogio speciale.…ma al Passo di Mecan cadde colpito insieme con il suo capitano, il 31 marzo in una eroica azione.Nella nostra città. Federico Frasca, fu alunno della Regia Scuola Enologica, apparteneva ai Fasci prima della Marcia su Roma e fondò con il caduto fascista Gino Buttazzi ed altri animosi la squadra della «Disperata».
Ora anche Egli é nel numero degli Eroi e il pensiero di tutti gli Irpini si volge a Lui in atto di ammirazione e di venerazione.
La cronaca della deposizione della lapide.
Dal Giornale d’Italia 1 luglio 1936
Bagnoli Irpino 30 giugno 1936 Con commosso raccoglimento ed ostentato orgoglio Bagnoli ha tributato solenni onorante all’eroico Federico Frasca, tenente dei Bombardieri, caduto al Passo Mecan alle ore 12 del 31 marzo u. s. nella battaglia del Lago Ascianghi.La cerimonia, semplice e solenne si è svolta prima nella Collegiata di S. Maria Assunta, ove ha officiato il rev. arci-prete parroco don Carrozza, con l’assistenza di mons Mores, vescovo di Nusco.Terminata la funzione …tutte le autorità si sono recate alla Regia Scuola di Avviamento Professionale per presenziare allo scoprimento della lapide commemorativa nella principale aula scolastica intitolata al concittadino tenente Frasca…
Federico Frasca, e il fascismo avellinese.
Grazie alla lettura di questi giornali( la cui copia è custodita nel fondo Irpinia dell’Archivio Storico Benedetto Petrone) scopriamo come Federico Frasca fu, da studente universitario, uno dei fondatori dello zoccolo duro del fascismo avellinese, quello che aveva come ideologo il professor Giovanni Preziosi, il massimo teorico del razzismo antiebraico e faceva capo al gruppo di studenti nazionalisti della prestigiosa Regia scuola di Enologia di Avellino e provenienti dalle regioni del centro-sud , spesso in astiosa lotta con gli stessi fascisti di Avellino città.
Una linea politica “dell’ala dura” ben presto tramutatasi in aggressioni contro comunisti , socialisti e giornalisti come Guido Dorso ritenuti ostili al fascismo. Una storia rivendicata dal fascismo avellinese come appare nell’articolo sulla morte del Frasca, ricordandone il passato giovanile e l’esser stato camerata di quel fascista Gino Buttazzi, morto, nel 1923, durante un’aggressione a due lavoratori avellinesi rei di portare un garofano rosso all’occhiello e che vide l’aggredito, il muratore Battista, incriminato e condannato a 10 anni di carcere, la casa bruciata in un raid punitivo e morto di cancro, in seguito, per le vessazioni subite. Da altre testimonianze trapela invece che “l’eroe fascista” Buttazzi fu colpito alle spalle, vittima involontaria di un suo maldestro camerata, ma la necessità che anche Avellino avesse un suo martire della Rivoluzione prevalse sulla giustizia e la verità storica.
Il richiamarsi strumentalmente ad eroi o fatti salienti dell’Era Fascista come pratica della macchina di propaganda del Regime è a mio avviso la fonte e causa delle inesattezze riportate sulla lapide di Federico Frasca, e di cui tratto in questo mio saggio.
Date e luoghi che non coicidono.
Tra la lettura del giornale che annunciava la morte e quanto riportato sulla lapide vi sono delle discrepanze che lasciano supporre che si sia voluto falsificarne il luogo del decesso affinchè esso fosse legato alla “battaglia finale” della quale le truppe italiane se ne attribuirono il merito, omettendo il ruolo delle truppe indigene e delle tribù etiopi ribelli, i Galla.
La battaglia del lago Ascianghi e i gas.
Stiamo parlando della battaglia del lago Ascianghi , ampiamente esaltata dal Regime come segno intangibile di potenza dell’esercito fascista comandato dal generale Badoglio , e rimasta nelle glorie dell’Esercito Italiano sino a quando, dopo molti decenni il generale Corcione, ministro della difesa, nel 1996, ammise ufficialmente la vergogna dell’uso dei gas asfissianti.
Fu una battaglia o meglio un massacro, condotto principalmente con l’uso massiccio, dal 2 al 5 di aprile, dell’aviazione che martellò l’armata imperiale etiopica in ritirata , con centinaia di tonnellate di bombe, moltissime caricate con il famigerato gas Iprite che asfissiò e accecò i soldati e avvelenò le acque dei laghi e delle sorgenti della località Ascianghi . Uno sterminio reso poi più atroce dal massacro dei superstiti da parte delle tribù Galla che con un voltabandiera si allearono agli italiani.
E’ evidente dalle date che è ben diverso il luogo e lo svolgimeno militare dei fatti che videro protagonista Federico Frasca, confermando su quanto scrissero in un primo momento i giornali dell’epoca.
La battaglia di passo Mecan
Se l’armata imperiale abissina forte di decine di migliaia di uomini e superiore in numero agli italiani, nei primi giorni di aprile era ridotta ad’un esercito ormai demoralizzato e allo sbando è dovuto a quanto avvenne in quel 31 di marzo in un luogo sconosciuto ai più, ovvero il passo Mecan, o meglio ancora Mai Ciù, e che fu la chiave di svolta della campagna di Abissinia ed a cui storicamente va ricondotto il contesto della morte di Frasca.
I fatti
31 marzo 1936 ,in Etiopia, le truppe italiane, con Pietro Badoglio che vuole chiudere al più presto l’estenuante campagna abissina, si spingono con un’aliquota di forze molto limitata a poca distanza dal luogo dove si sta concentrando il nerbo dell’armata imperiale etiopica e la stessa guardia personale del Negus. Il luogo dove si attestano gli italiani, comandati dal generale Pirzio Biroli , è Mai Ciò nei pressi del fiume Mecan. Sulla sinistra sono posizionati gli alpini della divisione Pusteria, al centro gli uomini della 2 divisione eritrea e sulla destra quelli della prima divisione eritrea . Uno schieramento classico con uomini trincerati fianco a fianco, difesi da cannoni e mitragliatrici , ma con una strana variante , quella di aver inviato qualche centinaio di uomini appartenenti al terzo Gruppo del battaglione indigeno eritreo, in una postazione avanzata a vigilare sul passo Mecan, lasciato libero come specchietto delle allodole per attrarre in una specie di imboscata le truppe abissine che si avventurassero tra esso. Quanto avvenne dopo e la stessa morte del Frasca sono di fatto una conseguenza di questo azzardo che rischiò per alcune ore di trasformarsi in una nuova sconfitta di Adua per gli Italiani, se non fosse stato per il valore ed il sacrificio di soldati che, dal colore della pelle e dai nomi, ben si discostavano dal modello italico prefigurato dell’Ufficio di propaganda di difesa della razza Italiana.
Federico Frasca da fascista nazionalista della prima ora, ad eroe di un reparto multietnico.
Su come la Storia con i suoi paradossi sembra prendersi scherno delle umane certezze mi piace ricordarlo nei miei articoli ed anche in questa circostanza ne abbiamo la conferma. Federico Frasca, il nazionalista che da giovane universitario seguiva gli insegnamenti di quel Giovanni Preziosi, razzista ed antisemita,teorico della superiorità della razza ariana, nella campagna di Abissinia è al comando come tenente di artiglieria , di un plotone di ascari eritrei del quarto Gruppo di artiglieria , dotato di bombarde/ obici da montagna calibro 75/13 ed inquadrato nel terzo Gruppo Battaglioni indigeni eritrei che in quel fatidico 31 marzo è attestato dietro un piccolo trinceramento su quel maledetto Passo Mecam.
Ed è contro di esso che, dopo un primo assaggio delle difese degli alpini, punta il nucleo delle forze abissine che per ore si lanciano all’assalto del centro dello schieramento italiano composto in gran parte da Eritrei. L’avventatezza dell’essersi spinti troppo avanti senza adeguati rifornimenti la scopre il generale Santini ,a cui il generale di Corpo d’armata Pirzio Biroli ha delegato il comando di quel settore, quando l’artiglieria eritrea si ritrova dopo un paio d’ore senza munizioni e lo scontro si trasforma in battaglia all’ultimo sangue e che vede cadere morti o feriti tutti gli ufficiali italiani del reparto del nostro concittadino Frasca. Solo grazie alla capacità di comando dei sott’ufficiali eritrei , la compattezza delle truppe indigene e la decisione di Santini di inviare al fronte gli scrivani, gli uomini delle salmerie, gli zappatori del corpo d’armata a fungere da riserva mobile che, poco dopo mezzogiorno, si riesce a respingere l’attacco di 25 mila abissini. La scena dopo la loro ritirata, alle ore 14.00, è apocalittica : ovunque, a migliaia , sparsi sul campo di battaglia giacciono avvinti , amici e nemici in un abbraccio mortale.
Federico Frasca cade colpito nelle fasi cruciali di quella battaglia ,alle ore 12, combattendo tra i suoi ascari rimasti senza munizioni per gli obici e tramutatisi da artiglieri in fantaccini.
Molti di essi, indistintamente se caduti o sopravvissuti, saranno in seguito insigniti di onorificenze, al valor militare, concesse ad eroi dall’italianissimo nome di buluc basci (sergente ) Mohamed Alì Sohman o muntaz (caporale) Mohamed Idris, e la cui chiarissima pelle color caffellatte ricordava sicuramente i geni di quella superiore razza ariana a cui si rifaceva il “precettore” di Frasca, il professor Preziosi . Ma in Italia, la Domenica del Corriere, fedele alle direttive del Regime , diede un’altra immagine di quella battaglia con schiere di italiani con casco coloniale d’ordinanza che andavano all’assalto e in lontananza gli ascari eritrei col Kepì in testa.
La stessa omissione di circostanze fatta da chi stilò quella lapide storpiando la sigla del reparto di Frasca ( tenente del IV artiglieria di armata) ,non facendo menzione della parola “indigeni eritrei“e legando il suo nome alla battaglia finale ”tutta italiana” del lago Ascianghi che, con la vergogna dei gas, vendicò i caduti di Passo Mecan.
A mio avviso , una piccola correzione a quella targa renderebbe onore a tutti i protagonisti di quei fatti e allo stesso Frasca, ma anche monito a chi propagandi la guerra e la discriminazione razziale come mezzi per affermare la propria superiorità.
Antonio Camuso
Archivio Storico Benedetto Petrone
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2018, anno XII, n. 3)
LA LAPIDE
FEDERICO FRASCA
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