L’Irpinia dei Borghi più belli d’Italia: un rifugio per raccontarci che va tutto bene

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In Campania sono dodici i comuni che possono fregiarsi del riconoscimento Borghi più Belli d’Italia, sette si trovano in Irpinia: Frigento, Gesualdo, Monteverde, Nusco, Savignano Irpino, Summonte, Zungoli. Siamo la provincia in cui se ne contano di più.

A quanto pare si tratta di una grande occasione di sviluppo economico e sociale, ma anche di un’assunzione di responsabilità importante nei confronti degli altri componenti della rete. Perciò essere valutati e ammessi in questa lista è un’ambizione diffusa, da Nord a Sud.

Ma siamo sicuri che basti il titolo? Di norma non basta mai: non basta nemmeno la laurea, come non basta diventare Miss Italia, non bastano le bandiere blu e arancioni. Serve anche tutto il resto, per evitare di diventare solo degli accumulatori seriali di premi: forma e sostanza, base per le altezze – e così via – apparenza e realtà.

Ci sono tutt’intorno paesi che scompaiono, processi di abbandono ormai velocissimi, politiche poco produttive che non garantiscono crescita e autonomia, le condizioni di isolamento si fanno sempre più profonde e i limiti sono tantissimi, economici e culturali in primis. Poi ci sono anche luoghi belli, i più belli, dove magari tutto questo si vede e si percepisce meno. Perché insomma – e mettiamo una distanza – pensare che stenti a sopravvivere a Santa Fiora è meglio che immaginarselo mentre percorri l’Ofantina.

Certo non lo scriviamo con l’atteggiamento di chi vuole solo distruggere, però abbiamo visto che Ostana, in Piemonte – tra i Borghi più belli d’Italia – è capace di portare avanti allo stesso tempo progetti di innovazione sociale e culturale, di riuso della parte materiale e di riattivazione della comunità. Mentre sappiamo che Zungoli ha puntato tutto sulle case a 1 euro. Intanto però le strade per arrivarci sono franate, quando nevica è impossibile uscire di casa, per fare compere bisogna cambiare paese, le case sono appiccicate l’una all’altra e hanno i muri portanti in comune, il paese non è collegato bene al resto dei servizi essenziali. Insomma, forse prima di puntare sul turismo, le bandiere arancioni e i riconoscimenti si potrebbe pensare di renderlo più vivibile per i cittadini che lo attraversano ogni giorno.

Le case svendute a un euro non risolvono la grande questione dello spopolamento, come il turismo non è l’argine all’abbandono, allo stesso modo non servono eventi e festival una tantum. L’approccio deve essere politico.

Ed ecco il punto: non vorremmo che il titolo di Borgo più Bello d’Italia ci facesse sentire autorizzati a sederci sugli allori, perché non ce lo possiamo proprio permettere. Soprattutto quello che meno ci serve è un altro esempio di estrazione di valore in termini assoluti, manifestato in un’ossessione per la valorizzazione che alla fine lascia lo stesso vuoto, se non una percezione maggiore del decadimento.

Non può essere questo il nostro rifugio, l’immagine rassicurante che ci fa sentire assolti, pacificati, perché c’è un grosso scarto tra essere teorici e abitare il territorio, come esiste una bella differenza tra un titolo e la conoscenza.

I borghi o i paesi possono- e devono – essere progetti, creare valore. Con un approccio generoso e sensibile, affinché si possa davvero affermare che rappresentano il futuro. Altrimenti ci macchieremmo di piccoloborghismo .

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