Luciano Vivolo inaugura il nuovo headquarter all’insegna di innovazione e nuove assunzioni
Ripropongo, quasi integralmente , un articolo del giornalista “Gianluca Bolelli” su “FASHION NETWORK” per far comprendere meglio la figura di un nostro conterraneo , mio amico , che sa onorare il nome del nostro paese fuori dalle nostra piccole mura ( la prima bandiera a sinistra nella foto è quella di Bagnoli Irpino .
Nello Memoli
“Luciano Vivolo inaugura il nuovo headquarter all’insegna
di innovazione e nuove assunzioni”
Chi conosce bene il settore della produzione di accessori in pelle per abbigliamento, calzatura e pelletteria o di etichette e cartellini per la moda e il lusso è rimasto estasiato dalla nuova, sensazionale sede di Vivolo, a San Lazzaro di Savena (BO). Oltre 10.000 metri quadrati di ambienti di lavoro definiti dagli osservatori, dai giornalisti e dai clienti presenti come “oltre l’avanguardia” per questo comparto.
In un evento al quale hanno partecipato clienti italiani e internazionali, provenienti da USA, Francia, Germania e UK, e giornalisti della stampa specializzata, l’azienda 100% Made in Italy e integrata verticalmente fondata nel 1977 da Luciano Vivolo ha voluto sottolineare per la prima volta il suo essersi trasformata in una realtà dal respiro internazionale, diventata uno dei punti di riferimento del settore luxury e per le più prestigiose case di moda, grazie in particolare alle sue soluzioni creative improntate all’innovazione.
La nuova sede di Vivolo a San Lazzaro di Savena (BO) era già operativa dal 2020 ed è stata ricavata dal recupero di un edificio preesistente, con un investimento di 20 milioni di euro e tutti gli ambienti e i macchinari parametrati ad Industria 4.0. Causa pandemia, l’inaugurazione ufficiale con taglio del nastro (alla presenza della sindaca di San Lazzaro di Savena in dolce attesa, ndr.) è stata compiuta solo in questo ultimo weekend di giugno 2023.
“Sono arrivato a Bologna a 16 anni. Feci il barista, l’impiegato alle Poste. Mi sono sposato appena 20enne. A metà degli anni ’70 nascono i miei primi due figli. Svolgevo allora l’incarico di responsabile dell’ufficio acquisti per un’azienda meccanica bolognese, ma erano anni difficili, così arrotondavo suonando la batteria in un complesso (allora le band si chiamavano così) che girava per l’Italia”, racconta il fondatore e presidente Luciano Vivolo, oggi splendido 81enne, dotato di una vitalità e un’intraprendenza che farebbero invidia a molti ragazzi. “Siccome però avevo avuto delle esperienze precedenti come tagliatore di pelli, la sera, sempre per arrotondare, mi prendevo a casa delle borse e delle scarpe da tagliare per alcune aziende. Mi restavano così tanti ritagli inutilizzati. Mio figlio più piccolo aveva una tuta che si era bucata e pensai di rattopparla facendovi cucire due toppe ricavate con quella pelle rimasta, e tornò nuova. Mi si accese una luce in testa”.
“Il giorno dopo tagliai 50 paia di toppe, le portai nella merceria della signora Rosa in Via della Foscherara per farle vendere ogni paio a 1.000 lire. La sera dopo la signora bussò dandomi 50.000 lire. Le avevo vendute tutte. A quel punto girai tutte le mercerie di Bologna per proporre le mie toppe. Le vendetti sempre, tanto che i rimasugli in cantina finirono”, prosegue il racconto Luciano Vivolo. “Cominciai a recuperare croste di pelli dalle aziende di Santa Croce sull’Arno e a tagliarvi delle toppe. Mi licenziai e aprii una società con sede in Via Dagnini a Bologna. Dopo l’acquisto di due presse, lasciai andare le mercerie e mi buttai sui grossisti di tutta Italia, che facevano ordinazioni più massicce”.
Qui Vivolo ha un’altra idea vincente: spedire le sue toppe al Corriere della Sera. “Due settimane dopo mi convoca in Via Solferino a Milano Angelo Rizzoli in persona”, rivela. “Gli spiegai che le mie toppe potevano essere gadget per i suoi mensili. Dopo una mezz’oretta ritorna con un ordine di 2 milioni di paia di toppe a 1.000 lire al paio, da inserire nel settimanale Amica. Siamo nel 1979/80. E per farmi conoscere feci mettere un trafiletto sul Corriere che indicava come fosse la Luciano Vivolo a produrre quelle toppe”.
In seguito Vivolo sfruttò il revival della moda country, che nei primi anni ’80 durò un lustro. “Si mettevano toppe ovunque, sui maglioni, sulle giacche, sulle camicie. Cominciai ad assumere persone. Dopo il fisiologico calo di quel trend, mi inventai la personalizzazione sul jeans. Da lì abbiamo avuto una continua crescita. Oggi stampo un pezzo alla volta, a differenza dei concorrenti, e ciò fa ottenere ai prodotti Vivolo un tocco unico, che i marchi di lusso e premium, i nostri clienti principali, apprezzano da decenni”, spiega Luciano Vivolo, vero self made man nato a Bagnoli Irpino, nell’avellinese.
Crescita testimoniata dal fatturato del 2022: oltre 20 milioni di euro, +30% sull’anno precedente, con una previsione di incremento almeno a una cifra percentuale anche a fine 2023, nonostante le sfide inflazionistiche e geopolitiche da affrontare che hanno portato a una certa stasi nei primi 5 mesi di quest’anno. Nel business di Vivolo prevale il segmento donna; i clienti sono circa 70, metà italiani metà esteri. Spiccano tra questi alcuni nomi altisonanti: Alexander McQueen, Ami, Versace, Tom Ford, Trussardi, Saint Laurent, Valentino, Sandro, Palm Angels, Moncler, Dsquared2, Massimo Dutti, Acne Studios, Chanel, Citizens of Humanity, Dior, Balenciaga, Fay, GCDS, Golden Goose, Giorgio Armani, Loewe, Moschino, Saint Laurent, Stefano Ricci, Secrid, Supreme, Tom Ford, Tod’s, Ralph Lauren, Burberry, Brunello Cucinelli, Golden Goose, Gucci, Hermès, Off-White, Marc Jacobs, Jacob Cohën, 7 For All Mankind, Zara, Zilli o Bottega Veneta. I prodotti Vivolo sono esportati in 42 Paesi.
Vivolo realizza 200 idee a collezione. Per le materie prime si rivolge a concerie di Santa Croce sull’Arno e Arzignano, ma una parte arriva anche dal distretto di Solofra. Il 90% della produzione è dedicata agli accessori per l’abbigliamento, suo core business, ma da un paio d’anni ha creato un’area per la calzatura e la pelletteria, che al momento ottiene il 10% del giro d’affari. “La nostra idea è proprio quella di crescere nella pelletteria e nelle calzature”, dice Luciano Vivolo. “Prevediamo una ventina di assunzioni in un paio d’anni, per un progetto che saremo in grado di far partire da subito: il trasferimento agli altri due settori delle competenze che abbiamo acquisito nell’abbigliamento non sarà difficile. È da qui che verrà certamente il grosso della nostra crescita nel futuro”. Oggi, insieme a Luciano ci sono anche i figli: Salvatore, Eloise, Luciana e Matteo, che hanno ruoli manageriali in azienda. Il più grande gestisce anche un outlet nel centro di San Lazzaro. Vivolo dispone di 100 macchinari avanzati e di un magazzino che ospita ben 200.000 mq di pelli, vantando una produzione annuale di 8 milioni di pezzi. Sono 80 i dipendenti diretti, che diventano 200 con l’indotto, e per un 85% sono donne.
Tornando al nuovo quartier generale dell’azienda di San Lazzaro, le linee nette dell’edificio nero sono pensate per fondersi armoniosamente con l’ambiente circostante e le scelte progettuali veicolano idee di sostenibilità, a cominciare dai faggi ‘immersi’ nella pareti vetrate interne o posti all’esterno. Cisterne per raccogliere l’acqua piovana, il pozzo ad uso irriguo, i pannelli fotovoltaici e soluzioni di economia circolare che valorizzano i materiali di scarto contribuiscono alla riduzione dei consumi energetici dell’edificio, che ricava circa 97 kWh/anno da pannelli fotovoltaici.
Del resto, la conceria è una industria che nasce proprio per ridurre l’impatto ambientale, “perché la pelle che viene trasformata dalle concerie è un prodotto di riutilizzo della filiera della carne, e così si recupera quanto verrebbe gettato”, ricorda Luciano Vivolo. Vivolo utilizza conce green, conce chrome free, metal free o wet white (senza l’ausilio di metalli pesanti), oppure concia pelli riciclate. Inoltre ha creato il programma “Impronta Zero”, che consta di capsule in continua evoluzione realizzate con il minimo impatto ambientale, utilizzando materiali senza solventi ed organici, riciclati, riciclabili, compostabili, vegani e animal free, come lo jacron, il canvas riciclato o pelli ricavate da residui di ananas, mela, banana o cactus.
Il marchio ha anche istituito lo scorso anno, insieme all’Accademia delle Belle Arti di Bologna, un concorso per stimolare progetti creativi concreti dei giovani, assegnando nella prima edizione un primo, un secondo e un terzo premio in danaro, mentre nel comune di Sasso Marconi, in località Pieve del Pino, Luciano Vivolo possiede una tenuta dove ha 6 ettari di vigneto, 2.000 ulivi e 1.000 noccioli d’Alba. Dopo 4 anni il vigneto ha portato alla realizzazione delle prime 4.000 bottiglie di bianco. In cantiere c’è la creazione di una cantina, il cui progetto è in fase di approvazione e il rendering era esposto in sede.
Naturalmente Vivolo è sempre alla ricerca di nuovi clienti e canali di crescita. “Pensiamo anche di spingere per la prima volta sull’area dei brand che operano in segmenti moda medi o addirittura medio-bassi nei prossimi anni (come sta accadendo con il gruppo Zara, ad esempio)”, svela infatti Luciano Vivolo. “Stiamo guardando all’adozione di alcuni macchinari sperimentali, ancora in fase di prototipo, che consentono di avere una produttività giornaliera superiore ai 100.000 pezzi. Daranno una qualità ancora molto buona e consentiranno di intercettare marchi di fascia media, non più solo i clienti del lusso. Pur con una marginalità molto inferiore, potremo abbracciare grandi realtà che hanno bisogno di grandi volumi in poco tempo”, spiega l’imprenditore. E le fiere di settore di Milano o Parigi? “Non ne abbiamo più bisogno. I grandi marchi ora vengono direttamente qua da noi a San Lazzaro”.
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