La recensione al libro “Scuola bene comune” di Luciano Arciuolo.
Ci sono scritture che dicono tutto, scritture esplicite, aperte, esposte verso l’esterno come balconi o come vetrine. Ci sono scritture che nascono con l’intento inconscio di assolvere il lettore da ogni senso di responsabilità o, peggio, di colpa che attraverso una sorta di militanza distinguono ogni cosa, ogni essere umano col metro di ciò che è buono e ciò che è cattivo, mettendo noi stessi e loro dal lato giusto, quello di chi denuncia e di chi non ha colpe. Questa è la cosiddetta scrittura <civile> così di moda negli anni che viviamo che conduce l’autore sul terreno scivoloso dell’ideologia colloquiale e della scioltezza mondana, portandolo sulla bocca comune, rendendolo certamente solidale ma non più memorabile.
Poi ci sono altre scritture e, non lo nascondo, sono quelle in cui credo realmente. Sono le scritture che scaturiscono dalla necessità, da un esilio profondo che attenzionano aspetti e problematiche non comuni, o forse lontane dal vedere comune. Così le parole tessono trame complesse, tinte coi colori dell’attenzione, della sofferenza, del disagio e dell’urgenza.
L’urgenza e l’attenzione sono la cifra fondamentale del libro del Preside Arciuolo che con la sua scrittura ci porta nel mondo della scuola attraverso ricordi, aneddoti e analisi puntuali raccontati, come sempre, con una sensibilità dimessa ma non servile, propria di chi non si accorda al complesso sistema di menti meccaniche che popolano i nostri tempi. Il titolo del libro “SCUOLA BENE COMUNE” “esprime un senso malcelato di attenzione rivendicando un sistema scolastico quale luogo della condivisione e del sapere partecipato e parimenti una scuola che ritorni ad essere credibile sul piano della formazione, del lavoro, della meritocrazia. Con il mondo globalizzato per mezzo dei social network, la comunicazione corre veloce caratterizzata da una maggiore interattività e socialità che ha cambiato le forme e i linguaggi dell’abitare i nostri tempi.
In questa giungla tecnologica “solo la scuola potrebbe offrire un’ancora di salvezza a quanti rischiano di restarne travolti” e continuare ad essere un ascensore sociale che dia ai meritevoli la possibilità di rivendicare migliori condizioni di vita .Qui ci viene naturale concepire la cultura, l’istruzione il sostrato naturalistico della crescita e dello sviluppo socio-economico del nostro paese: come scrive l ‘autore “ i nostri figli, e quindi gli alunni delle nostre scuole, sono la nostra vera ricchezza. Una nazione che vuole un futuro migliore investe nei propri ragazzi e ogni ora di lezione in meno è un pezzo di futuro che viene portato via a loro e quindi al paese”
L’espressione ”bene comune” diventa , dunque ,il primo segno importante per penetrare nella personalità e nella poetica dell’autore; è la prima avvisaglia di un carattere complesso maturato nel fertile terreno di valori egualitari e libertari che ai meno benevoli potrebbe suggerire ambiguità o riserve, ma che, ai più seri osservatori, presenta il suo autentico valore di polivalenza discorsiva. Nel discorso dell’uomo giunto alla dignità della professione c’è tutta la carica di una vita impegnata nella lotta per la moralizzazione dell’uomo. Il senso del suo attivismo politico e dell’impegno profuso a combattere le storture sociali si evince dalle stesse parole del libro “ Confesso, è vero, di aver sempre avuto un occhio particolare per chi aveva più difficoltà, per chi aveva più bisogno. Ma ho comunque voluto bene a tutti”.
L’amico Luciano nasce in una famiglia di emigranti e l’immagine del padre che parte con una valigia di cartone per andare in terra straniera si accampa nel suo inconscio e si materializza nel bisogno incessante di aiutare i suoi alunni in difficoltà, i suoi ragazzi iperattivi , gli adolescenti che sbarcano sui nostri lidi per soddisfare i loro bisogni primari. Da qui parte la sua proposta per aderire alla rete “SPRAR” da impiantare nella nostra comunità , proposta sciaguratamente bollata da sindaci passatisti.
Ora ,ora che può, deve cercare di aiutare quei bambini che partono, come è partita la sua famiglia e come ha fatto lui quando per un anno è vissuto a casa della zia a Pescolanciano. Allora come si può non vedere, come si può non capire che il libro è scritto anche per loro. E qua c’è l’uomo Luciano imbevuto di ideali politici. Più volte assessore e anche vicesindaco, ha contribuito come pochi allo sviluppo del nostro paese, attirando sulla sua persona anche delle critiche perché decidere è complicato soprattutto quando si fa tutto senza interessi, senza alcun ritorno .Il suo impegno nasce presto tra i banchi della scuola (di nuovo ritorna il motivo della scuola) e si intensifica con la maturità. Questo è il periodo che lo vede anche protagonista dell’unica radio nata a Bagnoli , “Radio Contro Album”. Un po’ per scherzo, un po’ per passione ne diviene il conduttore che utilizza un modus operandi dissacrante e sovversivo. La sua maturità politica gli comporta tante responsabilità. Si carica sulle spalle un’area politica che plasma e conduce a numerose vittorie, ma anche a dolorose sconfitte. Per tanti, lui piccolo e gracile, rappresenta il leader cui far riferimento per tanti consigli o per le proprie doglianze.
Leggendo il libro si prova un diletto che va in profondità: discorre con noi , ci consiglia e si lega a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante. E’ come aprire una scatola chiusa da tempo dove gli episodi narrati sembrano dei flash che obbligano il lettore a ricordare anche di sé , del proprio passato. I suoi amici sono i nostri amici, i suoi rimorsi sono i nostri, la sua scuola è la nostra scuola. Ci trovi dentro un po’di tutto: personaggi particolari, genitori e alunni singolari, vizi e virtù del corpus docente, una scuola gravata dalla burocrazia. Ma attraverso gli eventi e i personaggi riusciamo a filtrare il punto di vista dell’autore che, senza alcun intento morale e didattico, riesce ad impartire un’esemplare lezione di sacrificio, studio, passione e coerenza. Il libro è una sorta di diario che nasce , come dice Luciano , dal bisogno quasi fisico, dovuto probabilmente ad un momento particolarmente difficile, di scavare nel suo inconscio come a voler cercare risposte o verità disattese.Mi pare che quest’aspetto possa indurci a credere che la scrittura sia stata utilizzata a mo’ di terapia, come preludio alla ricerca del sé, ricordando vagamente un personaggio di sveviana memoria. La vita è un fardello per tutti , ancor più per uno che si è dovuto realizzare con le proprie forze: da solo è diventato un uomo, un politico, un docente , un preside.
Gli aneddoti che riempiono le pagine del libro sono raccontati con bonario umorismo da indurre spesso al riso, ma talvolta la scrittura diventa sprezzante , polemica da assumere le caratteristiche di un libello breve ed intenso. Nell’ultima parte del libro, dal discorso immediato traspare l’ironia che costruisce un contrappunto concretamente individuabile nell’espressione “non amo più la scuola” o forse sarebbe meglio dire la scuola come è diventata oggi a seguito dell’autonomia. A distanza di 20 anni, le innumerevoli riforme hanno destrutturato il sistema scolastico affidandolo alle dinamiche del mercato, alle spinte degli utenti o alle pressioni dei localismi. Così nel volgere di poche pagine si dipana una disamina che coinvolge tutte le componenti della scuola: i genitori, gli alunni, i docenti , i diversi ministeri dell’istruzione e le scelte governative per il reclutamento dei docenti. Dulcis in fundo, arriva l’ultima riforma in fieri, molto più angosciante delle precedenti, che riguarda la regionalizzazione dell’istruzione. Le tre regioni più ricche hanno chiesto ed ottenuto un disegno di legge per godere di una maggior autonomia politica anche in materia scolastica. Ciò significa che programmi scolastici, organizzazione, assunzioni e trasferimenti saranno gestiti in loco. La scuola da funzione statale assumerà a breve una gestione regionale. Non si potrà impedire a chicchessia di partecipare, in quanto cittadino europeo, ad un concorso in Veneto ma in quanto assunto dalla regione non potrà chiedere di trasferirsi altrove se non dimettendosi e partecipando ad un nuovo concorso. Ma al di là del bene e del male la scuola ha contribuito in modo determinante alla storia del nostro paese Ma la storia il più delle volte, come la natura, non facit saltus; anzi , rubando un pensiero dello storico Gabriele De Rosa, diremo che “ la storia della mentalità è più lenta dei tempi storici”.
Michela Dell’Angelo
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