Pantani sul Laceno è un’illusione prima della mazzata di Zülle

Giovanni Battistuzzi - www.ilfoglio.it

Li aveva lasciati sfogare, era stato tranquillo a guardarli correre e dannarsi, farsi i dispetti. Aveva pulito i suoi occhialini graduati, aveva abbassato il frontino del cappellino, aveva interpretato la parte del fratello maggiore, quello che dà ai fratellini l’illusione di poter essere battuto, ma poi li sistema per le feste proprio sul finire del gioco. E così aveva fatto verso il colle Molella, il cocuzzolo che svetta sopra l’altopiano Laceno, lì dove c’è il lago che riflette i monti, lì dove Alex Zülle aveva dimostrato a tutti quanti di non essere solo un uomo da cronometro, ma anche uno che in montagna va e va veloce. Molto veloce, forse troppo, almeno in quel venerdì 22 maggio di venti anni fa al Giro d’Italia.

Michele Bartoli sulla prima vera salita del Giro aveva cercato di sublimare il rosa della sua maglia conquistata il giorno prima. Marco Pantani aveva cercato di involarsi e ce l’aveva fatta, con una azione che sembrava delle sue, ma che delle sue non lo era stata fino in fondo. Si era alzato sui pedali, aveva messo metri e secondi tra lui e gli avversari, poi si era ingobbito sulla sella, aveva perso bellezza, si era girato per guardare quello che succedeva alle sue spalle e aveva visto Bartoli e Leblanc ancora lì, ancora vicini. Aveva provato ad accelerare ancora, ma quelle due macchie di colore non si allontanavano più, rimanevano lì dove le aveva lasciate prima, a un centinaio di metri da lui. Poi era apparso lo svizzero. Alex Zülle era stato staccato, sembrava soffrire il caldo e la salita, ma era un’illusione. A due chilometri dalla vetta del monte aveva aumentato il ritmo, in poche centinaia di metri aveva ripreso la maglia rosa e il francese, si era messo alla loro ruota, aveva bevuto un sorso d’acqua ed era ripartito. Pantani lo aveva preso e superato come fosse una cosa banale. E sì che il Pirata c’aveva provato ad appiccicarsi alla schiena del corridore della Festina. Niente da fare. Zülle volava, era altro da loro. Aveva salutato tutti che il Gran Premio della Montagna era a un passo. Poi si era smaterializzato. L’avrebbero visto solo al traguardo. Con oltre venti secondi sul groppone, con l’idea che fosse marziano, che se a cronometro non si batte, anche in salita sarebbe stato difficile staccarlo.

“Volevo vincere la tappa: per il palmares, perché è bello”. Poche parole, un sorriso, molto poco elvetico, una praticità invece molto tedesca. Poi un altro sorriso, le spalle che si alzano, le mani che si allargano ben aperte. “Non è colpa mia. Se Bartoli non avesse iniziato, io sarei stato calmo e tranquillo. Il Giro comincia domani e finisce a Milano. Spero che Bartoli cerchi di riprendersi la maglia rosa, è stato lui la vera sorpresa”, quasi a giustificarsi, quasi ad avvisare tutti che se il cane dorme è meglio lasciarlo dormire.

Dirà Pantani: “Zülle è stato più intelligente di me. Gioca come fa il gatto con i topi, ma ora sappiamo quali carte abbiamo in mano”. Un messaggio che è un avviso: mascherina io ti conosco, i conti li facciamo più avanti.

Giovanni Battistuzzi – www.ilfoglio.it

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