Raffaele Patroni continuò a lavorare nel suo laboratorio nel centro storico di Salerno, esattamente nei pressi di Porta Rotese. Nella città ormai lo scultore bagnolese era piuttosto conosciuto e perfino il Bergamini, che in tutti quegli anni aveva lavorato come marmoraro a Salerno ma che nel frattempo si era diventato più anziano e anche carente nella salute, spesso gli cedeva in sub appalto lavori di scultura monumentale e cimiteriale a lui commissionati, pagando Raffaele piuttosto bene. Per motivi di famiglia, però, il proprietario del locale dove Raffaele da qualche anno in affitto aveva creato il proprio laboratorio, chiese all’artista di liberarglielo, e in breve tempo, da persone e cose perché serviva a un proprio familiare per un negozio commerciale.
La sorte volle che Raffaele Patroni, qualche tempo prima, avesse rivisto dopo alcuni anni un amico anch’egli del mestiere, tale Lanzetta, conosciuto nel periodo in cui insieme avevano lavorato a Napoli, il quale esercitava il mestiere di marmista a Mercato San Severino. In quell’incontro il Lanzetta propose al Patroni di mettersi in società con lui, dividendosi i compiti, ed essere così aiutato soprattutto nell’esecuzione di lavori di scultura in marmo a tutto tondo o in bassorilievo per i quali riconosceva di non essere in grado di eseguirli bene come, invece, aveva visto fare all’artista bagnolese. Fu così che il Patroni, ricordando quell’incontro, pensò di accettare la proposta del marmista, considerato altresì che in breve tempo era obbligato a lasciare il locale del laboratorio di scultura in Salerno al suo proprietario. Trasferì quindi anche la sua famiglia da Bagnoli Irpino nella storica cittadina della Valle dell’Irno e cominciò così una nuova fase della sua vita durante la quale la moglie mise al mondo due gemelli, Antonio e Stella, che però morì di malattia dell’infanzia ancora bambina. Proprio in quegli anni il suocero Arcangelo Conte peggiorò il suo stato di salute e non potendo proseguire nel suo incarico di custode del carcere di Bagnoli Irpino, fu messo in quiescenza anticipatamente ma non con una pensione bensì con un misero indennizzo, una tantum, perdendo tra l’altro anche l’uso dell’abitazione che gli era stata concessa precedentemente. In seguito a tutto questo il Conte e sua moglie riuscirono a vivere ancora per alcuni anni ma solo grazie alla generosità di una delle loro figlie che, dal Brasile dov’era emigrata con il marito e i figli, di tanto in tanto spediva ai genitori del denaro e grazie pure alla magnanimità di Raffaele Patroni e di sua moglie che da Mercato San Severino inviavano loro alimenti e anche un po’ di denaro, quando potevano.
Qualche anno dopo, la società tra i due compagni si sciolse e, per un breve periodo Raffaele si trasferì con la sua famiglia a Cava de’ Tirreni nella frazione Santa Lucia perché fu incaricato di eseguire per la Chiesa locale lavori di arredo sacro. Egli già nella sua tenera età aveva dimostrato di possedere, oltre ad un’intelligenza viva ed una sorprendente creatività, anche un temperamento determinato e da adulto lo dimostrò in varie occasioni essendo capace di incassare amarezze e delusioni a causa di terzi e proprio per il mestiere che esercitava, ma fu sempre ribelle alle ingiustizie, all’arroganza e alla prepotenza di taluni che incontrò sulla sua strada. Dopo aver pagato di persona l’essersi fidato di falsi amici ai quali aveva dato tutto se stesso per l’esecuzione di lavori artistici raffinati, in pietra e in marmi, l’artista si convinse che avrebbe fatto meglio a ritornare innanzitutto a Salerno e riaprire, però, e solo per conto proprio, il laboratorio di scultura. Ebbe l’occasione di trovare un ottimo locale al centro della città, in Corso Vittorio Emanuele, e a pochi metri di distanza dalla stazione ferroviaria. L’abitazione, però, dopo il breve periodo in cui visse con la famiglia a Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, Raffaele l’aveva trovata a Raito, la ridente frazione di Vietri sul Mare prendendo in affitto una casa soleggiata con un ampio giardino antistante. Era quello un posto tranquillo, il fitto era modico e poi era in collina sulla costa di Amalfi. Tutta la sua famiglia viveva felice per l’aria pulita e perché godevano di un incantevole panorama affacciandosi ogni mattina sul mare del golfo di Salerno. Però, ogni giorno Raffaele, divenuto un noto maestro, scendeva in città per lavorare e rientrava la sera per la cena ricongiungendosi così ai suoi familiari. Fu proprio in quegli anni che il Patroni si affermò come il più competitivo artigiano-artista per la lavorazione del marmo decorato o scolpito in tutta la provincia salernitana. Infatti, non gli mancò committenza nella stessa città e nelle cittadine limitrofe eseguì, per prelati e per privati dell’alta e media borghesia, opere di notevole interesse artistico che oggi sono motivo di studio da parte di storici dell’arte e di studiosi che si occupano delle sculture e delle pitture ancora sconosciute o quasi nel nostro territorio. Inoltre, in quegli anni di costante lavoro lo scultore aveva avuto dall’amata moglie sei figli, Diomede, Antonio e Stella, Lucia, Angiolina e Maria detta Marietta, di cui cinque viventi da crescere e far studiare. Dal 1885 e fino alla fine del secolo XIX a Salerno si svolsero diversi eventi che determinarono il destino della città in trasformazione ed in crescita culturale grazie al sindaco del tempo Matteo Luciani. Uno di questi eventi vide coinvolto anche il Patroni dal punto di vista artistico. Infatti, ciò avvenne con la visita a Salerno del deputato Giovanni Nicotera, molto noto, come in tanti sanno, per essere stato anni prima uno dei pochissimi superstiti nella sfortunata spedizione di Sapri condotta dall’eroe Carlo Pisacane. Il Nicotera, fiero di essere stato in quel tempo rieletto con i voti ricevuti da tanti salernitani che lo confermarono deputato del Parlamento Italiano postunitario, decise di venire a Salerno a ringraziare i suoi elettori con un discorso a loro rivolto.
Nicotera giunse da Napoli in forma ufficiale e da trionfatore. Sceso dal treno nella stazione ferroviaria, era stato atteso dai suoi sostenitori che dopo essergli andati incontro per ossequiarlo, lo fecero salire su una carrozza scoperta trainata da cavalli. Il deputato, una volta su di essa unitamente ai suoi fedelissimi di partito, salutando con la mano il popolo attraversò tutto il Corso Garibaldi, la strada più in vista della Salerno di allora, acclamato dalla folla entrò in un palazzo nei pressi della Chiesa dell’Annunziata e dell’attuale Piazza Matteo Luciani, affacciatosi al balcone pronunciò un enfatico discorso ringraziando quanti lo avevano votato per una seconda legislatura. Raffaele Patroni fu tra i testimoni oculari di quell’evento del 1891. Qualche tempo dopo, sollecitato da alcuni amici nicoteriani, l’artista in un bassorilievo in marmo immortalò quell’episodio storico con l’intenzione di esporlo a Salerno. Gli amici ed estimatori dello scultore lo invogliarono perciò a mostrare quello che ritenevano un vero e proprio capolavoro direttamente al deputato Giovanni Nicotera. Esponenti del Partito Repubblicano di Salerno ed il capo gruppo dello stesso partito fissarono l’appuntamento a Napoli dove il Patroni, accompagnato da due amici che lo aiutarono nel trasporto del pesante bassorilievo, fu ricevuto dal noto parlamentare nella sua casa in Via Chiaia. Nicotera accolse cordialmente nel suo studio sia l’artista sia i suoi accompagnatori i quali adagiarono l’opera di marmo su un divano. Poi, Raffaele la scoprì e la mostrò al deputato. Questi espresse subito ammirazione ed entusiasmo per il lavoro magistrale e dopo aver osservato anche i particolari, che gli ricordarono il successo e l’ottima accoglienza ricevuta a Salerno dalla folta folla, rivolto al maestro disse: “E’ un’opera importante sia dal punto di vista artistico sia dal punto di vista storico per Salerno e deve perciò essere vista perennemente in un luogo pubblico nella vostra città, non a Napoli, perché è parte integrante della storia contemporanea di Salerno. Scrivo perciò per voi una lettera che consegnerete personalmente a mio nome al Prefetto di Salerno il quale saprà come far acquistare e dove collocare quest’opera d’arte”. Poi, accompagnando l’artista ed i suoi amici fino all’uscio di casa, il parlamentare consegnò al Patroni non solo la missiva da far leggere al Prefetto ma gli donò una somma di denaro con queste parole: “Considerate questo mio omaggio un premio e un riconoscimento personale che ho il piacere di farvi”. Raffaele Patroni, felice di questa gratificazione, tornò nella sua città per recarsi il giorno successivo in Prefettura a Salerno. Fattosi annunciare al Prefetto, gli consegnò la lettera del Nicotera e presentò anche a lui l’opera scolpita perché la visualizzasse. Il rappresentante del Governo, letta la lettera di Nicotera e avendo considerato eccellente il bassorilievo, promise di presentare una proposta di acquisto dell’opera da parte della Provincia di Salerno; chiese ed ottenne la convocazione di un’assemblea straordinaria a Palazzo S. Agostino perché fosse deliberata l’acquisizione dell’opera. Ma il senatore Diego Tajani, avversario politico del Nicotera, durante il suo autorevole intervento si dichiarò contrario affermando che il Nicotera, con i soldi dei salernitani, avrebbe voluto premiare la sua ascesa politica, ma meglio avrebbe fatto a comperare egli stesso l’opera e tenerla a casa sua a Napoli. Questa sarcastica affermazione del Tajani fu motivo della bocciatura della proposta avanzata dal Prefetto da parte della maggioranza di quel Consiglio provinciale. Il maestro Patroni seppe incassare anche questa amarezza ed espose all’ingresso del suo laboratorio proprio quest’opera affinchè chiunque salernitano potesse vederla, ammirarla, commentarla ed pubblicizzarla. Essendo stato questo episodio motivo di commenti nella città, molti cittadini incuriositi passavano per il laboratorio del Patroni per vedere da vicino questo lavoro particolare e motivo di polemiche tra liberali e repubblicani. Un giorno passò di lì un tale signor Natella di Cava de’ Tirreni che con una generosa somma consegnata all’artista, acquistò l’opera che portò nella sua villa sulle colline di Cava de’ Tirreni. La notorietà del Patroni crebbe ancora di più negli anni che seguirono, ottenendo committenza dall’aristocrazia e dall’alta borghesia salernitana. Appartengono alla produzione di quel periodo dell’inizio dell’ascesa artistica del Patroni importanti statue e busti marmorei, conservati sia nel Cimitero monumentale di Salerno sia in altri della provincia, o collocati in case di notabili salernitani o presso Enti di Salerno e dintorni. Tra i tanti di cui si ha anche documentazione è doveroso citare i seguenti: un busto dedicato al medico e patriota Giovanni Matina che era stato collocato sulla facciata del Palazzo di Città in Teggiano (Salerno) e trafugato da mano ignota molti anni dopo in occasione di lavori di consolidamento del plesso comunale e della sua facciata. In località Materdomini, presso l’ospedale psichiatrico di Nocera Inferiore (SA), va citato il busto eseguito per Federico Ricco, cognato del patriota risorgimentale e deputato Giovanni Nicotera. Si è a conoscenza, grazie alle memorie lasciate dal figlio dell’artista, Diomede, di un busto eseguito per un personaggio di antica famiglia salernitana, tale Dott. Moscato ma è sconosciuta la collocazione. Il busto in marmo al sindaco di Salerno Matteo Luciani risalente al 1889 è perennemente esposto al Palazzo di Città di Salerno. Di quest’opera così scrive Rosa Carafa: “La scultura firmata sul recto – “R.Le Patroni” – è uno dei primi ritratti del sindaco Luciani dopo la sua morte. Qui l’artista coglie la pienezza fisica e psicologica dell’illustre personaggio, realizzando le superfici larghe del volto, contrassegnato dalla bordatura della barba, e quelle del busto in modo leggermente più levigate, coniugando l’aspetto naturalistico e un recupero dell’impostazione ritrattistica classica, allo scopo di dare forza e imponenza al politico e all’uomo della svolta della nuova città, quella postunitaria.” ( ) Il busto a Raffaele Conforti, più volte Ministro dell’Italia postunitaria, eseguito anche questo a fine Ottocento, fu collocato nel salone del Palazzo Conforti, nel centro storico di Salerno in Via Torquato Tasso 56, oggi divenuto un noto albergo a 5 stelle e ancora prima quello eseguito per l’Abate Gianfrancesco Conforti, martire della Repubblica Partenopea del 1799. Il busto all’archeologo Giustino Pecori, imparentato con la nobile Famiglia Conforti, è un altro esempio della produzione costante che afferma il Patroni sempre più nella città che lo accolse anni prima da bambino, orfano e povero. Nelle memorie del figlio Diomede Patroni è ricordato un sorprendente busto eseguito per l’industriale Scaramella, personaggio molto in vista nella Salerno di fine Ottocento per il suo famoso stabilimento di prodotti alimentari, soprattutto per la produzione della pasta che era molto apprezzata e perfino spedita negli Stati Uniti d’America. A Vietri sul Mare (Salerno) il maestro Raffaele scolpì il busto del notabile Pietro Pellegrino, capostipite di un’importante famiglia della costiera amalfitana, la cui opera al tempo fu collocata nell’omonimo Palazzo Pellegrino a Marina di Vietri sul Mare (Salerno). In quegli anni, lo scultore eseguì anche un pregevole bozzetto in terracotta che, se fosse stato poi realizzato l’esecutivo finale, sarebbe stato destinato ad una delle cappelle di una delle navate della Cattedrale di Salerno. Rappresentava i due fratelli gemelli Alfonso e Francesco Linguiti, entrambi canonici, discendenti di nobile famiglia salernitana e stimati letterati. Nonostante il progetto scultoreo in terracotta fosse stato molto apprezzato dallo stesso Arcivescovo di Salerno, per intrighi tra prelati che additarono il Patroni quale artista laico e “repubblicano”, questo monumento fu fatto invece realizzare da un artista forestiero, comunque non più collocato nel Duomo di Salerno bensì nel Cimitero monumentale della città. Questo bozzetto, gelosamente conservato dal figlio di Raffaele Patroni, Diomede, nel proprio laboratorio in Via Velia, fu purtroppo distrutto insieme alle opere degli scultori Patroni il 21 giugno 1943 durante un bombardamento aereo anglo-americano. Lo scultore Raffaele, come già riferito, lavorò nella città in espansione anche ad opere che furono collocate sulle tombe di famiglia dell’alta borghesia salernitana, nel cimitero in località Brignano. Tra le numerose opere dell’artista va citata in particolare quella della Famiglia Rizzo per i ritratti eseguiti per Francesca Fiorillo e per Francesco Rizzo. Nell’emeroteca dell’Archivio di Stato di Salerno è conservato un articolo di redazione sul periodico “L’Irno” del 9 novembre 1899 n. 83 dove la notizia di suddetta opera è così riportata: “Il giorno della commemorazione dei morti i nostri sguardi si posarono attentamente su due tombe recenti che sorgono nel cimitero della città. Esse sono opere del geniale scultore Sig. Raffaele Patrone il quale ha dato al marmo il soffio della vita. Le tombe conservano le spoglie di Francesca Fiorillo e Francesco Rizzo, moglie la prima e fratello il secondo di Giuseppe Rizzo, il quale ha avuto la nobile aspirazione di dare loro degna sepoltura. Il mezzo busto di Francesca Fiorillo e il medaglione di Francesco Rizzo, entrambi in marmo, sono somigliantissimi e hanno una perfetta espressione d’arte la quale va dovuta allo scalpello di Raffaele Patrone, valoroso quanti altri mai in simili lavori.” (Come già specificato all’inizio del racconto sulla vita e la citazione delle opere di cui si è a conoscenza eseguite Raffaele Patroni, corre l’obbligo a chi scrive ribadire al lettore che fino al 1901 sia Raffaele sia suo figlio Diomede firmavano le loro opere con la “e” finale nel loro cognome. Da questa data in poi il cognome venne rettificato con editto reale e su richiesta dell’artista capostipite in “Patroni” cioè con la “i” finale nel cognome, conformandosi ad antichi documenti di famiglia.) Raffaele Patroni, negli anni della sua ascesa artistica, si è spostato per i suoi lavori anche per periodi considerevoli, sia nel Cilento che nel Vallo di Diano, nella Valle dell’Irno, in Costiera amalfitana, nell’Agro nocerino sarnese ed in Irpinia. Ciò si evince da opere importanti della sua produzione di fine secolo e anche dell’inizio del 1900. Sono un esempio quelle eseguite e tuttora esistenti nel cinquecentesco Palazzo Ducale di Cannalonga (Salerno), paesino del Cilento distante pochi chilometri da Vallo della Lucania. Infatti, in occasione della ristrutturazione dell’edificio dei Duchi Mogrovejo tra il 1893 e il 1895, Raffaele Patroni con l’aiuto del figlio primogenito Diomede, all’epoca adolescente, eseguì in gesso per la nobile famiglia di origine spagnola un gruppo scultoreo dove è rappresentato il giovinetto Luigi Mogrovejo, figlio del Duca ed erede del titolo nobiliare di famiglia e di tutte le proprietà e beni di suo padre. Nell’opera il fanciullo è rappresentato seduto al centro di un pianerottolo coperto a cui si accede da una larga scalinata che dal cortile d’ingresso porta alle camere dei piani superiori. Questo gruppo fu modellato dal Patroni a grandezza naturale con un personale realismo richiamandosi probabilmente ai leoni scolpiti da quattro importanti artisti per i quattro leoni posti ai lati della colonna del monumento ai Martiri napoletani dell’Indipendenza d’Italia tutt’oggi visibili in Piazza dei Martiri a Napoli. Di qualche anno dopo è pure opera di Raffaele, con l’aiuto del figlio Diomede, il gruppo scultoreo inserito nella fontana di stile neoclassico probabilmente già esistente nella Piazza del Popolo a Cannalonga ed eseguito su committenza del Duca Luigi Mogrovejo. Tale fontana è funzionante nel piazzale antistante il cinquecentesco palazzo ducale. L’opera è inserita nella vasca a forma di losanga e realizzata con blocchi di pietra grigia assemblati. Dal centro della stessa si erge una superficie ricoperta da pietre di fiume fissate con malta sulla quale è posto, in marmo di Carrara, un puttino scolpito nudo tra due delfini dalle cui bocche fuoriesce il getto continuo di acqua corrente e potabile per il ristoro degli abitanti del luogo, specialmente nei mesi estivi. L’opera è firmata in basso, alla base, Patroni Raf. e Diomede (probabile atto di riconoscenza del maestro verso il proprio figlio per l’assidua e valida collaborazione artistica).
Nel periodo in cui fu costruito in Pompei il Santuario della Madonna del Rosario, Raffaele Patroni che tra l’altro conobbe personalmente l’insigne committente Bartolo Longo, fu chiamato ad eseguire per l’architetto Giovanni Rispoli, all’epoca direttore dei lavori che si conclusero nel 1901, la realizzazione di ornamenti plastici, esattamente rosoni che furono portati a termine e fissati dall’autore sotto gli archi del portico antistante il noto Santuario campano.
Nel primo anno del Novecento, Raffaele Patroni, sempre affiancato dal figlio Diomede, esegue una particolare fonte battesimale per la chiesa della Badìa di S. Benedetto a Faiano di Pontecagnano (Salerno). L’opera interamente scolpita a bassorilievo in marmo di Carrara e in minima parte anche con marmi policromi, è composta da una cuspide piramidale che poggia su un tamburo esagonale che a sua volta è installato sul dorso di un leone stiloforo eseguito in una particolare pietra giallastra detta pietra di Faiano ma scolpita in epoca precedente da altra mano. La cuspide è caratterizzata da archetti pure in stile neo-gotico contenenti in essi formelle scolpite in bassorilievo dove sono raccontate le storie di Gesù Cristo. All’apice della guglia di tale fonte battesimale è visibile invece un gruppo scolpito a tutto tondo pure in marmo di Carrara al quale collaborò il già valente figlio Diomede appena terminati i corsi di scultura presso la Regia Accademia di Belle Arti di Napoli. Rappresenta il primo sacramento che Cristo ricevette da Giovanni Battista.
Qualche tempo dopo il maestro è presente a Castelluccio Cosentino, frazione di Sicignano degli Alburni (Salerno) dove realizzò per la Chiesa dell’Annunziata l’altare maggiore, anche questo lavoro nell’insieme in stile neo-gotico, e dove con ben ventisette formelle eseguite a bassorilievo, l’artista racconta la passione di Cristo.
Di quegli anni va segnalata un’altra opera di Raffaele Patroni, di cui chi scrive ebbe modo di vederla e perfino fotografarla sul posto alcuni anni fa nel cimitero di Roccadaspide (Salerno). E’ un lavoro scolpito ad alto rilievo per una giovane donna, Franceschina Garrosi Passaro, deceduta immaturamente e il cui marito, medico della cittadina, fece realizzare il monumento funebre. In quest’opera, in marmo di Carrara, il maestro Raffaele supera se stesso non solo per l’espressione del riuscito e somigliantissimo ritratto della donna, ma anche per quanto riguarda l’anatomia delle mani della stessa scolpita a figura intera e a grandezza naturale la quale si affianca ad una colonna spezzata su cui poggia il braccio destro pendente, simbolo di rassegnazione al suo crudele destino, mentre simbolicamente porta la mano sinistra al petto rivelando così la sua fervente fede cristiana che le sa far accettare la sua immatura dipartita. Non va sottaciuta l’abilità anche tecnica oltre che creativa raggiunta da Raffaele Patroni nel cesellare con il suo scalpello anche i particolari evidenziati dall’orlatura dell’abito della giovane scomparsa.
Le opere eseguite da Raffaele Patroni non sono purtroppo tutte conosciute, specialmente quelle del periodo giovanile che potrebbero essere collocate in raccolte private in tutta la Campania e neppure mai conosciute dal figlio Diomede per cui anche per chi scrive qui del suo capostipite le notizie sono limitate, ma si può ritenere che esse sono sufficienti per far ricordare, per la memoria storica del nostro territorio, che quanto è stato prodotto ed è stato lasciato e/o riscoperto di questo autore che, dimostrando una indiscutibile conoscenza della materia scultorea, ponendosi nella tradizione e rimanendo artista del suo tempo, seppe lanciare uno sguardo propenso ai nuovi linguaggi perseguiti anni dopo dal figlio Diomede.
Va considerato altresì che Raffaele Patroni, per carenze economiche della sua famiglia di origine e per essere rimasto orfano di padre alla tenera età di sette anni, non potè mai frequentare né una scuola né un istituto d’arte. Quanto ci è tutt’oggi pervenuto è da ritenersi abbastanza utile perché questo scultore possa essere ancora più indicato all’attenzione di storici dell’arte delle generazioni presenti e future per un’indagine storica più approfondita del nostro Sud Italia, se non proprio di quella nazionale, considerato che questo artista, pur essendo stato autodidatta, seppe vivere solamente della sua arte, con il suo talento coltivatosi con la sua passione per la scultura in pietra, e spinto dalla genialità. Ciò è sicuramente sorprendente ed ammirevole.
Infatti, questa considerazione aumenta per chi scrive, essendo il pronipote discendente di Raffaele Patroni, la più sentita stima per l’uomo e per lo scultore dovuta alla produzione prolifica che oggi si manifesta approfondendo i percorsi della sua arte; egli lavorò con la mente, con il cuore e con le mani, generando altresì una dinastia di scultori, i Patroni, che è tutt’oggi esistente ed attiva tra Salerno ed il mondo, a cavallo di tre secoli dall’Ottocento, al Novecento, al Duemila.
Pur essendo limitate le notizie pervenuteci di tutta la produzione scultorea di Raffaele Patroni, che è il bisnonno di chi scrive, tutto quanto è stato cercato e trovato nella documentazione di famiglia, ha consentito di conoscere, anche se non completamente, la personalità dell’uomo e dell’artista da cui si onora di discendere.
Questi, dopo la morte prematura della propria moglie avvenuta nel primo decennio del Novecento, divenuto silenzioso e malinconico anche per altre vicissitudini di famiglia, lasciò che fosse il proprio figlio Diomede a proseguire nell’attività artistica da lui iniziata molti anni prima.
Di tanto in tanto si recava nel laboratorio in Largo S. Agostino a Salerno che il figlio Diomede aveva impiantato per i lavori che venivano commissionati ai Patroni.
Raffaele Patroni si spense all’età di 72 anni a Salerno, sua città di adozione, in Via Masuccio Salernitano, l’11 maggio 1925 senza mai dimenticare la sua Bagnoli Irpino da cui nascevano le sue “radici di pietra”.
Fine terza parte
(da Fuori dalla Rete giugno 2024, anno XVIII, n. 2)
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