C’è chi dice che in questi giorni è bene fare un bilancio di un anno passato, ma è anche bene porsi nuovi propositi per il nuovo anno. Un nuovo anno che ci vede costretti a riprendere alcuni standard, perlopiù sociali, culturali e perché no, futuristici. Dal punto di vista di chi scrive, oggi non è un buon momento per il futuro. Non si riesce a vedere al di là dell’ostacolo una buona sorte per la continuità, per quel vivere quotidiano di cui tanto abbiamo bisogno. E parliamo anche del sistema culturale di un popolo che si fonda su insegnamenti e su di un senso di appartenenza al locale. Oggi culturalmente parlando siamo fermi a poco o niente. Nella nuova visione del mondo, ci sono aspetti che vanno sottolineati. Discutendo e ragionando su dove va il paese, ci dovremmo rendere conto che oggi sono molti i segnali di smarrimento e perlopiù si vede nelle scelte delle future generazioni.
A cominciare dal fatto che non si riesce a comprendere quale sia il miglior modo per trattenere i giovani, per incentivarli a fare qualcosa di più, a dimostrare il proprio valore, che sia lavorativamente parlando, ma anche culturalmente. Siamo costretti a porci dei limiti, che siano quelli della ricerca di un posto di lavoro o di ricercare il proprio posto nel mondo. Siamo ad un punto di non ritorno e forse per il prossimo anno, dovremo ripartire da alcuni concetti fondamentali che proverò ad esporre da queste colonne. C’era un tempo in cui l’attenzione di tutte le amministrazioni era nei confronti di nuove attività e in quella di tenere una solidità delle vecchie attività, ma c’era anche l’innovazione a provare a fare il suo. Non possiamo che accusare il colpo di una crisi globale post-coronavirus, vero. Ma questo non dovrebbe giustificare il fatto che non si riesce a fare di più e siamo costretti a collocarci in un limbo. Non esiste più una generazione vincente che, con il benestare di progettisti e di menti colte di paese, riesce a scavalcare quell’ostacolo.
Ma questo ostacolo lo si scavalca con le idee, con l’indottrinamento della volontà di buttarsi a capofitto su quello che più ci soddisfa: il lavoro o quantomeno qualcosa di simile. Mi riferisco innanzitutto alle passioni, non abbiamo più luoghi di coltivazione di passioni sparse. Musica, calcio, non abbiamo una squadra di calcio iscritta al campionato di terza categoria a Bagnoli, menomale vive una scuola calcio, almeno quello. Ma anche altri tipi di passioni. E di questo ne soffrono principalmente le associazioni del territorio, non riescono a far quadrare le risorse umane che servono per un evento, per una rappresentazione è difficilissimo. Sembra che a 18 anni oltre a studiare ci sia un muro sociale che non fa fare gruppo a nessuno più. Eppure dai racconti questo era il paese dell’associazionismo e delle grandi comitive.
Il discorso oggi è veramente complesso, ci troviamo sicuramente in un periodo storico dove chiedere ad un ragazzo cosa vuole fare nella vita è come chiedere ad un cane cosa preferisce su una tavola imbandita di cibo. Quasi sicuramente il cane non addenterà solo una cosa, ma ne assaggerà tante. La fortuna per le nuove generazioni, a differenza dei loro padri, nonni è che almeno possono scegliere di crearsi un posto nel mondo, quando prima ci si fermava ad una sola possibilità: sei donna fai ti devi occupare della casa e dei figli, sei uomo, manovale, operaio, posto fisso. Nel mondo, “fortunato”, della globalizzazione, abbiamo scavalcato lo schema “famiglia cristiana” ed oggi è anche possibile fare più lavori e magari farli da casa. Con la pandemia abbiamo capito cosa vuol dire Smart Working. Abbiamo fatto nostre, parole che alla fine hanno il significato di “lavoro agile”. Agile come è la numerosa mole di possibilità in questo momento di trovare anche qui un posto di lavoro. Farlo almeno per non abbandonare. Per non abbandonare quello che è il focolare, oppure per tornare o far tornare. Perché qui qualcosa si può fare.
Mi vengono in mente le parole di Franco Arminio “La cura dello sguardo”, dove si chiede fortemente a gran voce questo verbo: “Tornate al vostro paese,/ non c’è luogo più vasto./ Tornate presto,/ non pensate se è conveniente per la vostra vita./ Cominciate la grande migrazione al contrario./ Avete una casa vuota che vi aspetta,/ la casa che vostro nonno/ ha costruito coi soldi dell’emigrazione:/ voi qui potete accendere la vita,/ altrove al massimo potete tirare avanti solo la vostra vita./ Tornate, non dovete fare altro. / Qui se ne sono andati tutti,/ specialmente chi è rimasto.”
Restare è davvero difficile, ma è anche la sfida più grande. La rivoluzione culturale deve essere questa e lo può fare un singolo cittadino, lo può fare una amministrazione e lo può fare un collettivo. Bastano pochi passi, ma molte più parole. Buona fine e buon principio.
Giovanni Nigro
(da Fuori dalla Rete Natale 2022, anno XVI, n. 5)
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