Rezzuti e Scolavino, un indissolubile sodalizio che ha scritto pagine originali dell’ immaginario

di Joanna Irena Wrobel

Un indissolubile sodalizio artistico, brioso e costruttivo, una collaborazione decennale che ha scritto pagine originali dell’immaginario, una ricerca accomunata da una cultura di forte impronta e tradizione, radicata e riconoscibile nell’appartenenza al territorio, danno vita ad un dialogo d’eccezione tra Carmine Rezzuti e Quintino Scolavino. Due artisti partenopei dalle personalità forti e distinte, ma storicamente solidali e vicine, uniti nella formazione artistica della Napoli postinformale, attenti alle novità che negli anni ’70 trasformavano il panorama dell’arte internazionale, da anni percorrono strade parallele che, a differenza delle leggi di geometria, ogni tanto (per benevola magia) si incontrano. Carmine Rezzuti (Napoli, 1944) sin dagli esordi, anima la scena artistica e culturale della città. Indiscusso protagonista della scultura contemporanea italiana, da sempre svolge una approfondita ricerca sulle possibilità dell’opera d’arte percepita nello spazio e caratterizzata da una marcata connotazione fantastica e ludica.

Le prime tele di grandi dimensioni si distinguono per l’uso sperimentale del colore, che diventa protagonista assoluto per rafforzare l’importanza compositiva dei singoli elementi. Nel corso degli anni, Rezzuti si concentra sul rapporto tra opera d’arte e contesto esterno, realizzando dei lavori in cui inserisce materiali di recupero o di risulta. La sua singolare vena artistica si manifesta al meglio e in modo compiuto e maturo, quando ridà nuova vita ai piccoli frammenti di legno trovati in riva al mare, quando si cimenta nel reinventare per loro un nuovo destino, felice e fiabesco, pieno di gioia e di colore. La materia di scarto, senza più vita apparente, si trasforma e acquisisce un valore nuovo e sorprendente. Una sorta di alfabeto arcaico, essenziale e puro, attraverso il quale l’artista tesse delle storie inedite. Quintino Scolavino (Bagnoli Irpino, 1947 – Napoli 2020), un artista poliedrico, versatile, colto e affascinante, con la sua arte innesca un continuo e vivace dibattito legato alla funzione dell’arte nella vita quotidiana. Pittore, scultore, autore di teatro, videomaker e, soprattutto, un “produttore politecnico”, inventore di versatili oggetti animati in “forma d’arte”, Scolavino nel 1966 è tra i fondatori del “Gruppo Studio P.66”, un movimento che promuove nuovi linguaggi artistici, dando giusto peso ad ogni “idioletto” (termine promosso e sostenuto da Achille Bonito Oliva), come unico modo di espressione individuale.
Scolavino mette a punto delle “macchine” tridimensionali per provocare nello spettatore “disarmonie prestabilite” tra aspettativa e percezione. Provocatore/Rezzuti e Inventore/Scolavino, quando uniscono il proprio sapere e pluriennale esperienza artistica, lo fanno in modo giocoso e ironico, dando vita ogni volta ad un’operazione artisticamente unica, intrigante, irripetibile e di sorprendente risultato visivo. Tra i due regna una sorta di perenne complicità, che mai si potrebbe definire una mera strategia espositiva. Le opere nate da un ribollimento creativo individuale, immediatamente sembrano fatte una per l’altra. Cominciano a intendersi tra di loro, anche se a prima vista possono sembrare espressione di idiomi diversi. Creano un’armonia nello spazio con il quale colloquiano all’unisono. Ogni nuovo progetto comune di Carmine Rezzuti e Quintino Scolavino cela sorprendenti e brillanti idee, all’insegna del gioco, del dialogo intimo e sussurrato. Le opere, anche se non lo sono, sembrano fatte della stessa pasta: percorrono immediatamente fianco a fianco, con una festevole sorpresa, una strada comune. Un sentiero unico, che conduce la materia inerte verso una nuova vita alla ricerca di una convivenza ecologica e pacifica, dove ogni tanto, rivendicare il proprio carattere e mostrare le forze individuali.
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