Rocchina Vivolo racconta i segreti dell’antica arte della filatura

Le tradizioni di Bagnoli

“Trasmettere la tradizione ai giovani per salvarla”.

In un pomeriggio piovoso di questa strana estate ho incontrato la signora Rocchina Vivolo a Bagnoli Irpino. In macchina nell’organizzare le mie idee sulle cose da chiedere, mi ritorna in mente una famosissima canzone del mitico Rino Gaetano: “Berta filava”. Chi non la ricorda? Berta filava… filava la lana. Busso al portone e viene ad aprirmi una dinamica ottantacinquenne che mi fa accomodare e molto premurosa mi offre il caffè, dolci, caramelle. È in compagnia della graziosa nipote Elisabetta. La donna prende gli attrezzi del mestiere si siede ed iniziamo il colloquio.

Chi le ha insegnato a filare?
Ho imparato vicino ad una zia di mia madre, lo faceva lei e imparai anche io. Anche mia madre sapeva lavorare la lana, sapeva ricamare è stata anche lei una mia maestra.

Quanti anni aveva?
Andavo a scuola elementare, imparai utilizzando una vecchia scopa alla quale avevo attaccato un chiodo, prendevo a casa di nascosto la lana, altrimenti mia madre si sarebbe arrabbiata.

Molte donne filavano?
Nei tempi passati si, oggi quasi nessuno. Nelle mostre fotografiche dedicate alle tradizioni qui a Bagnoli campeggia sempre una foto che ritrae mia zia mentre fila la lana.

Era un vero lavoro per lei?
Lo facevo per la mia famiglia ma se mi veniva chiesto anche per altre persone. Dopo la filatura, lavoravo il tessuto, realizzavo calze, maglie, sciarpe e mantelle. Il mio primo lavoro fu la realizzazione di una mantella con la lana che era avanzata a questa zia, allora frequentavo la terza elementare. Un giorno in classe mentre la maestra spiegava mi misi a lavorare la lana, la maestra se ne accorse, ero spaventata, temevo mi punisse, invece lei volle vedere il lavoro e rimase meravigliata.

Ha mai colorato la lana?
Compravo le bustine con il colore, si scioglievano in acqua, si metteva sul fuoco, quando andava in ebollizione si immergeva il manufatto, si lasciava lì per un po’ di tempo e così prendeva colore. Io, però, non facevo questa operazione, essendo piccola, spettava a mia madre.

Filava vicino al fuoco?
Certo era la fonte di riscaldamento e le lunghe serate invernali, senza televisione si passavano vicino al fuoco a filare. Mia madre preparava molte calze di lana la sera vicino al fuoco, mio padre era pastore, poi ci fu il dramma della guerra che interruppe la nostra quotidianità.

Cosa si ricorda di quando era ragazzina?
Scuola e casa, poi morì mio padre che era giovane e quindi mia madre tirava avanti la famiglia. Non sono mai andata a lavorare, avevamo anche un cavallo che serviva per il trasporto della legna.

Come vi procuravate la lana?
Qui c’erano molti pastori non era difficile procurarsela.

Chi vendeva il fuso?
Quelli che facevano le sedie, il mio è molto antico, era di mia madre anche perché oggi più nessuno li prepara.

Ha mai guadagnato con questo lavoro?
In passato quasi tutte le donne sapevano lavorare la lana, bastava questo per essere autosufficienti.

Consiglierebbe ad una ragazza di imparare a filare?
Certo, mi farebbe piacere insegnare a qualche ragazza, ma nessuno vuole, glielo ripeto, nessuno vuole.

Le piaceva tanto filare?
Moltissimo, io non riesco a stare senza far niente, devo per forza muovere le mani, lavoro anche l’uncinetto.

Ha una sorella, ha imparato anche lei?
Assolutamente no, non sa lavorare la lana ma è una brava sarta.

Sua zia come si chiamava?
Michela Cione, è stata lei la mia maestra, alla quale devo i segreti di questo mestiere.

Pensa che la filatura della lana con il fuso scomparirà?
Credo proprio di sì, ormai realizzano tutto con i macchinari, si potrebbero, però, tenere dei corsi per far sì che non si perda la memoria del passato, per conservare la tradizione, non certo per guadagnare.

Una maglia fatta a mano ha più valore di una fatta a macchina?
Certamente, ma chi la comprerebbe?

Dalla tosatura della pecora come si arriva alla lavorazione finale?
Dopo la tosatura si prende la lana, la si lava e dopo che è asciugata, si allarga, è la cosiddetta “cardatura”, in questo modo vengono eliminati tutti i nodi e diventa più facile filare. Quando dovevo fare un lavoro importante compravo un manto intero. Bisogna sapere anche che ci sono vari tipi di lana, alcune pecore hanno la lana più dura e difficile da lavorare, altre più morbida.

Com’è fatto il fuso?
È composto da un pezzo di legno di diametro di più o meno 1 centimetro, di lunghezza 25-30 centimetri, poi c’è un uncino di ferro ad una delle estremità mentre alla distanza di 10 centimetri, dalla parte opposta, c’è una rondella di legno.

Da quanti anni ha il fuso?
È nella mia casa da molto tempo prima di sposarmi, ma è molto più vecchio.

Che ricordi ha di questo lavoro?
Il ricordo più bello è legato ai momenti in cui sottraevo la lana a mia madre e la filavo, naturalmente mi rimproverava anche perché lei non sapeva filare.

La lana veniva utilizzata solo per la filatura?
No, con la lana si preparavano i materassi, tutti i materassi allora erano di lana, oggi invece si usano altri materiali, allora il materasso di lana faceva parte della dote.

Aveva qualche amica che sapeva lavorare?
Si, con un’amica abbiamo imparato insieme, adesso è nel mondo dei giusti.

Ha partecipato a qualche mostra per ricordare questo mestiere?
Si, ad una manifestazione organizzata dall’ artista Maria Rachele Branca dedicato agli antichi mestieri (terza edizione del concorso “La Vacca di Fuoco][ I Sogni di Morfeo” , “Il Sogno in Fuscella). In quella occasione ho riproposto l’arte della filatura davanti a molti ragazzi delle scuole, in occasione della sagra della castagna e del tartufo.

Bei ricordi?
Quando era vivo mio padre andavamo ad Ottaviano a quagliare il latte, nel corso di una delle visite ad Ottaviano realizzai una maglia per mia sorella piccolina in una quindicina di giorni. Ricordo poi, che nel ’43 periodo di guerra si iniziava a vedere qualche piccola matassina di lana colorata. Ma la vera lana era quella preparata da noi.

Bagnoli ancora oggi è un paese di pastori ci sono molti allevamenti. Come mai non è mai diventato un lavoro “serio” quello della filatura?
Bisogna considerare le condizioni di quell’ epoca, si andava in montagna a lavorare, non vi era il tempo da dedicare ad altre attività. D’ inverno da dicembre ad aprile andavamo ad Ottaviano a quagliare il latte e d’estate eravamo in paese e io mi dedicavo al lavoro della lana. Mio padre comprava il latte dai pastori e preparavamo il formaggio.

Un sogno…
Poter insegnare a filare alle più giovani e non perdere la tradizione.

Pellegrino La Bruna (Il Quotidiano del Sud del 27.8.2018)


Ph di Pellegrino La Bruna


IL QUOTIDIANO DEL SUD del 27.08.2018

fonte Il Quotidiano del Sud
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