SAVERIO ha l’aurea di qualcosa di perduto ma che sopravvive in altra forma. Il senso materico che lo definisce, sublimato nell’estetica delle sue fattezze recise, si misura con la pasta cementizia, usata da MARIA RACHELE BRANCA per modellare il suo torso frammentario.
Plasmato enfatizzando una dicotomia espressiva tra ruvidezza e levigatezza, tra resistenza e vulnerabilità, questo busto, realizzato negli anni dell’ACCADEMIA DELLE BELLE ARTI a FIRENZE, manifesta la connaturata vocazione della sua materia scultorea.
Nel rifiuto dei canoni classici, il suo corpo scultoreo attua la disgregazione di ogni convenzione, sia nella materia che nel suo assunto: qui, infatti, un calco in cemento grezzo si sostituisce al rigore del gesso, così come la caducità esistenziale supplisce all’immortalità del mito.
Nella sua sintesi metaforica c’è una recondita, e forse inconsapevole, ispirazione filosofica attinente all’esistenzialismo, quanto una tensione analitica del non-finito. L’inorganico e vitreo incarnato, infatti, evoca, seppur nella ricerca materica e scultorea del passato, lo sgretolamento e l’incertezza del nostro tempo, animandosi del turbamento e dell’irrequietezza della sua incompletezza.
Sulla sua superficie irrompe un effusivo alito di vita imprigionato dalla e nella materia cementizia: un fatuo involucro, quello di SAVERIO, destinato a frantumarsi nella sua inesorabile implosione. In quel sopito vigore, le lacunose membra rappresentano l’incrinatura scultorea di una rinnovata fisicità ed emotività, affermando la sua tracotante presenza in questa travagliata contemporaneità.
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- Testo critico di Rossella Della Vecchia
- Ph Martin di Lucia
Maria Rachele Branca, SAVERIO, 1985
cemento, 85x50x35 cm
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