La violenza tra e di minori sta assumendo, in Italia, caratteri di vero e proprio allarme sociale. Secondo il Ministero della Giustizia i reati commessi da ragazzi con meno di diciotto anni di età sono stati, nel 2016, quasi 45 mila e commessi da poco meno di 20 mila adolescenti. I tre quarti di questi sono italiani (altro che emergenza immigrati). Non solo: secondo gli stessi dati, tra i minori rinchiusi negli istituti di pena, molti non hanno completato la scuola Primaria e parlano solo il dialetto, altrettanti provengono da famiglie numerose e molti di più hanno almeno un parente in galera o comunque pregiudicato. Essi vedono l’uso della violenza (da non nascondere, anzi da documentare) come unico ascensore sociale: se vuoi diventare qualcuno devi dimostrare di essere capace di rubare, di picchiare e, meglio ancora, di uccidere.
Nella nostra regione e soprattutto a Napoli tutto questo è ogni giorno più drammaticamente evidente. Anzi: qui c’è da aggiungere che i protagonisti di episodi di violenza, cieca e imprevedibile perché rivolta contro vittime casuali, provengono tutti da realtà disagiate: i quartieri dell’esclusione sociale (come Scampia) ma anche le strade del centro storico.
Gli adolescenti caduti nelle mani della giustizia dopo episodi di violenza hanno evidenziato una incredibile povertà di pensieri e di modelli da imitare (quasi sempre quelli dei loro parenti pregiudicati), aprendo uno squarcio su un abisso di vite abbandonate a se stesse, che vivono una realtà quotidiana fatta di nulla sommata col niente.
La verità è che, dietro tutto ciò, ci sono famiglie disastrate, quando non del tutto assenti. Famiglie nelle quali le azioni criminali dei figli vengono coperte, quando non esplicitamente approvate. Che non solo non fanno nulla per evitare la deriva alla quale i ragazzi vanno incontro: il più delle volte sono incapaci di orientare, se non alla violenza, quelli che, al contrario, dovrebbero educare.
La violenza degli adolescenti, insomma, nasce e cresce in seno ai loro ambienti domestici di provenienza, luoghi di cattivi maestri. Comunque luoghi di omertà, nei quali si cerca di coprire i propri figli ad ogni costo. Da questo punto di vista, ovviamente, l’atteggiamento è piuttosto comune ed è lo stesso, ad esempio, del genitore che corre a scuola e picchia il professore che ha richiamato il figlio o che ha minacciato di dargli un cattivo voto.
Nei posti dove più alto è il livello del disagio sociale, potenzialmente luoghi che rischiano di trasformarsi in brodo di cultura di una violenza sempre più diffusa e pericolosa, la Scuola svolge un ruolo insostituibile ma sempre più demandata alla buona volontà dei singoli, senza una visione complessiva (e politica) capace di dare la svolta vera.
In ogni caso, però, la Scuola non può fare da sola. C’è bisogno di una comunanza di intenti e di azione che coinvolga tutti: anzitutto la politica e le istituzioni, che devono compiere scelte ben precise, indirizzate verso lo sviluppo economico e sociale di quelle realtà, ma anche ad una più capillare presenza dello Stato, non tanto o non solo con il volto dell’esercito e delle forze dell’ordine, ma con quello, meno invasivo ma certamente più efficace, della cultura, dell’istruzione, della formazione.
A Scampia o a Forcella, insomma, apriamo non una nuova stazione di polizia, ma una facoltà universitaria. E lasciamo le scuole aperte per tutto il giorno.
Ti invitiamo a reastare in tema, essere costruttivi ed usare un linguaggio decoroso. Palazzo Tenta 39 si riserva comunque il diritto di allontanare le persone non adatte a tenere un comportamento corretto e rispettoso verso gli altri.