Tartufi, allarme cinghiali in Campania: in pasto metà produzione
Il Mattino (Gianni Colucci)
Il cinghiale, in una condizione normale, alla diffusione dei tartufi farebbe anche bene. Serve a disseminare le spore di questi funghi ipogei (che nascono sotto terra) e che costano qualcosa come 150 euro al chilo. Tartufi bianchi e neri che a differenza quanto si pensa sono diffusi al centro Sud Italia e oscurano per qualità e quantità quelli piemontesi.
Ma una dissennata politica di lanci di cinghiali sta distruggendo una straordinaria ricchezza del territorio. In realtà messe a repentaglio anche la sicurezza nei piccoli centri (ad Altavilla pochi giorni fa una donna è stata aggredita in strada da un cinghiale).Il ricercatore del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) di Gorizia, Gilberto Bragato, esperto tartufologo da oltre 30 anni, spiega: «I cinghiali non sono scavatori, come molti potrebbero pensare e quindi non sono interessati a mangiare i tartufi tuttavia costituiscono una grave minaccia per la produzione naturale e coltivata; un problema acuito negli ultimi anni per la loro enorme proliferazione». Impossibile stimare i danni dei cinghiali alla produzione italiani di tartufi, che comprende un’area che va dal Piemonte alla Basilicata, ma si tratta di un problema che in parte contribuisce alla loro diminuzione. In Italia dagli anni 70 a oggi il calo complessivo è del 50%, stima Bragato, secondo il quale sul banco degli imputati c’è anche l’abbandono dei territori.
Sono 3500 i cavatori campani che battono incessantemente monti a quota 800 metri e da settembre ad aprile portano a casa i tartufi necessari ai gourmet di tutto il mondo. E sono in pericolo le tartufaie, quelle naturali quelle impiantate che si stanno diffondendo nel centro sud. In Campania sono una trentina censite all’albo regionale, e l’invasione di branchi di cinghiali, Che a volte aggrediscono i cercatori, stanno mettendo a rischio la produzione. Una stagione particolarmente secca ha ridotto del 30 per cento la produzione, i cinghiali che calpestano e si nutrono dei tartufi, fanno il resto.
«La Regione Campania – dice Luca Branca, responsabile dell’unità operativa dirigenziale Foreste Funghi e Tartufi – sta avviando una caccia selettiva ai cinghiali che sono particolarmente prolifici. Una femmina partorisce dieci cinghiali per volta due volte l’anno. Sono stati lanciate varietà aggressive e non autoctone in passato, dunque è necessario intervenire».
Ma non basta. Spiega il vice sindaco di Bagnoli Irpino, Rino Ferrante: «È difficile organizzare un sistema di difesa, innanzitutto perché siamo in una zona Parco. Tuttavia si tratta di un animale non tutelato come lo è il lupo e dunque una drastica riduzione dei capi esistenti non sarebbe un danno». Bagnoli che la settimana scorsa ha celebrato la sagra del tartufo alla 46esima edizione, va fiera del proprio mesentericum. E le tartufaie, segretissime e quindi impossibili da localizzare, sono da mezzo secolo il principale serbatoio delle aziende che hanno commercializzato il prodotto nel mondo.
Da una decina di anni a Bagnoli e Montella ci pensa Salvatore Lenzi a diffondere il culto del tartufo locale. «Confermo: i cinghiali sono un problema, serve un grosso impegno per difendere i nostri prodotti». Lenzi ha due tartufaie di una decina di ettari tra Bagnoli e Montella che protegge come può. Specialista del tartufo, ha una linea con 60 prodotti a base di mesentericum: dagli oli ai cosmetici, oltre a preziose confezioni da regalo che vende in Australia e in Giappone. Ora c’è da contrastare il nemico cinghiale, il quale si fa sempre più aggressivo e, quando se ne sta in montagna, scava e distrugge le tartufaie.
Il Mattino (Gianni Colucci)
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