Il nobile del bosco dall’aroma forte, intenso e molto penetrante, che arricchisce i cibi, mi chiedo se oggi è solo questo? Sicuramente no, purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista. Partendo da un focus territoriale diciamo che l’attività produttiva Irpina è strettamente legata alla geografia del suo territorio, così unico e vario. Nei magnifici boschi di faggio in simbiosi con le querce, betulle, noccioli, pino nero (piante micorrizate) ha trovato un perfetto habitat il “Tartufo Nero” di Bagnoli Irpino (Tuber Mesentericum). Il Tartufo Nero pur essendo rinvenibile in varie zone del centro e del sud Italia, ha trovato il suo habitat ideale di crescita in una ristretta zona dell’Irpinia, Bagnoli Irpino, ma anche sui massicci del Terminio e del Cervialto e lungo tutta la fascia dorsale dei monti Picentini, che si trovano tra Avellino e Salerno. Nella nostra Regione sono presenti numerose specie di tartufi, tra i quali il più diffuso e famoso è appunto il Tuber Mesentericum, detto anche Tartufo nero ordinario o “Tartufo di Bagnoli Irpino”. Oltre al tartufo mesenterico, altri tartufi diffusi in Campania sono: il Tuber aestivum, noto anche tartufo estivo o scorzone, il Tuber borchii, detto anche tartufo bianchetto, il Tuber uncinatum, il Tuber moschatum, il Tuber brumale.
Ed è stata segnalata anche la presenza, nell’avellinese e nel beneventano, a seguito di indagini sul territorio da parte di autorevoli strutture universitarie, del Tuber magnatum Pico, il celebre e rinomano tartufo bianco. La tartuficoltura, che in Campania conta circa 2mila cavatori è stata e lo è ancora per molti versi una incontestabile realtà di tutto rispetto. Una coltivazione interessantissima che unisce benefici economici ad evidenti aspetti ambientali e paesaggistici. La sostituzione di colture ad ampio impatto ambientale attraverso la realizzazione di siepi e boschetti, filari, viali alberati, boschi ad ampio spettro varietale è chiaramente auspicabile. Eppure gli ostacoli, i vincoli imposti agli agricoltori che intendono cimentarsi in questa appassionante pratica agricola sono molti.
La mia domanda nell’intervistare i vari attori è stata: – La filiera tartuficola esiste? – Ovviamente si, occorre però, che quella dei tartufi sia considerata una coltura vera e propria, regolata e promossa con normative e misure regionali specifiche, non solo qualcosa che ha a che fare col rimboschimento. Tema questo affrontato in occasione degli Stati Generali dell’Agricoltura in Città. Al quale sono intervenuti il funzionario regionale ed esperto Luca Branca e l’esperta e coltivatrice Ernestina Gambale, che hanno ampiamente illustrato le infinite problematiche della filiera, insistendo sul riconoscimento “biologico” delle Tartufaie.
A tal proposito vorrei sottolineare che il tartufo è divenuto “prodotto agricolo” del regno vegetale per l’UE nel 2019, passando così dalla tavola dei nobili ai campi. Aspetto non secondario per la commercializzazione, infatti, considerare il tartufo come un prodotto agricolo spontaneo al pari del fungo porcino, aprendo così la strada all’abbassamento dell’Iva dal 10% fino al 4% ad esempio. Era parso un cambiamento epocale con effetti positivi, sicuramente sì, ma non basta perché i produttori del tartufo non si sentono tutelati da una filiera che pochi conoscono e riconoscono come tale.
Carmela Cerrone – Corriere dell’Irpinia
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