Tracce di storia e di umanità lasciateci da cittadini di Bagnoli Irpino
di Antonio Camuso
Prima di tutto l’uomo! Memoria e Ricordo e i paradossi della Storia.
Pochi giorni son passati da quando sono state celebrate in tutta Italia iniziative e cerimonie sulla giornata della Memoria sull’Olocausto, e quella del Ricordo, ma continuano ad apparire, sui muri e sulle porte di figli di ebrei e di partigiani, scritte oltraggiose, in un clima di avvelenamento degli animi da parte di una certa politica che incita alla discriminazione del diverso, dell’immigrato, di chi ha un colore della pelle o la forma degli occhi. Eppure dovremmo far tesoro dagli insegnamenti del passato e, da ricercatore storico, nel mio stile, cercherò di contribuire utilizzando piccole, semplici tracce lasciateci dai nostri concittadini bagnolesi.
La prima traccia l’ho ritrovata nell’archivio della signora Marisa Cione relativamente al carteggio scolastico dei suoi nonni, i maestri Rodolfo Domenico Cione e Anna Melillo. Si tratta della copertina del quaderno di Aritmetica dell’alunna Cerasuolo Domenica, fequentante la quarta classe elementare femminile delle scuole San Rocco di Bagnoli Irpino. In essa vi sono raffigurati tre volti di calciatori che negli anni 30 furono le punte d’ecellenza e gloria del Napoli.: Antonio “Tonci”Vojack, Mihalich e Attila Sallustro.
Vojak, il Maradona degli anni 20 che dovette cambiare cognome slavo.
La storia del primo è rappresentativa di come l’aberrazione del nazionalismo e dell’idea della superiorità della “italianità” propagandata dal fascismo, raggiungesse il ridicolo, se non fosse che a patirne furono esseri umani. Il valente attaccante del Napoli, di origini croato-slave, “Tonci” Vojak, nato a Pola, ex piazzaforte austroungarica passata all’Italia come bottino della Prima guerra mondiale, rappresenta un caso emblematico della persecuzione e dell’italianizzazione imposta negli anni del fascismo a oltre quatrocentomila uomini e donne slovene e centomila dalmate non di lingua italiana. A causa della campagna fascista anti-slava, il calciatore Tonci Vojak fu costretto negli anni 30, a cambiare il suo nome nell’italiano Antonio Vogliani, registrandosi presso il Tribunale di Torino. Grazie a questo suo abiuro delle origini, egli potè giocare persino in nazionale.Nel dopoguerra fu anche allenatore della squadra dei lupi irpini, la U.S. Avellino.
Molto peggio fecero gli italiani in camicia nera e non, dopo l’annessione dei territori ex Austriaci sul litorale istro-dalmato alla fine del Primo conflitto mondiale. Atti criminali come la sistematica distruzione di biblioteche, di archivi storici e sedi di giornali non di lingua italiana e vessazioni contro tutti coloro che si opponevano alla rimozione forzata della propria identittà culturale e linguistica, un elenco che andrebbe inserito in quei libri di Storia che almeno una volta i nostri giovani dovrebbero sbirciare.
Ma di ciò non se ne parlerà mai, poichè La Storia, è continuamente manipolata da chi detiene il potere, aprendo la strada al negazionismo e a quel nazionalismo a sfondo razzista che fece da lievito alla Seconda Guerra Mondiale e all’Olocausto. Così si preferisce acquietare le coscienze con rituali cerimonie che demonizzando il Male, lo fanno apparire come prodotto da Alieni giunti da un altro Pianeta e ritenere noi immuni, da tali pericoli.
Nella giornata della Memoria non si racconta, purtroppo, degli italiani in divisa da camicia nera o civile, che svelarono i nascondigli degli ebrei, di oppositori politici o partigiani, anch’essi italiani, condannandoli a morte certa.
Allo stesso modo si censurano film come Fascist Legacy, Crimini fascisti, un film documentario del 1989, prodotto dalla BBC inglese e i cui diritti sono stati acquistati dalla RAI, non per diffonderlo al pubblico, bensì per vietare che esso fosse mandato in onda sulle reti nazionali affinchè il mito del “buon italiano” non sia infranto, specialmente nella giornata del Ricordo.
Un film choccante in cui i superstiti dei massacri di civili yugoslavi durante l’occupazione italiana sono accuratamente ricostruiti da parte di testimoni oculari, o parenti delle vittime slave. Un film in cui si narra dell’orrore del campo di concentramento nell’isola dalmata di Arbe – Rab, gestito dall’Esercito italiano dove migliaia di donne e bambini e vecchi ritenuti famigliari di partigiani slavi, morirono di feddo, fame e malattie con indici superiori di quelli dei peggiori lager nazisti. Vedere quelle immagini, sentire quelle testimonianze sarebbe istruttivo per chi volesse comprendere e contestualizzare come, dopo tanto orrore vi fosse un forte risentimento anti-italiano in molte parti della Yugoslavia appena liberata dall’occupazione nazifascista e quindi in che clima si svilupparono i tragici episodi inerenti la giornata del Ricordo.
Come non trarre lezione da questi fatti per dire che nazionalismo, razzismo e culto della superiorità identitaria producono solo odio che richiama altro odio e che, a tutto ciò, vanno contrapposti la comprensione, la solidarietà, l’amore verso ogni essere umano al disopra di ogni differenza.
Prima di tutto l’uomo!
La seconda traccia lasciataci dai nostri concittadini è una serie di foto messe in rete sui social-media dal professor Aniello Parenti provenienti dall’archivio del maestro D. Ciletti e relative a suo fratello Lorenzo Ciletti, militare di carriera nelle bande musicali dell’Esercito italiano dagli anni 30 in poi.
Alcune immagini risalgono all’inizio dell’invasione italiana nei territori del regno Yugoslavo, (aprile del 1941) e alla successiva spartizione di esso tra Italia, la Germania e l’Ungheria e la creazione dello stato fantoccio di Croazia. Sono immagini scattate a Karlovac, in territorio croato, quando la banda divisionale dove prestava servizio il nostro Lorenzo Ciletti, raggiunse a fine maggio 1941, il comando della seconda armata del Generale Vittorio Ambrosio.
Istantanee dove al nostro compaesano piacque farsi ritrarre tra gruppi di uomini e donne, dai sorrisi splendenti e da un abbigliamento variegato che confermavano come, sino al momento dell’arrivo degli occupanti italiani, lì avesse regnato, per secoli, un equilibrio e un melting-pot accomunante slavi, zingari dalle origini diverse, ebrei, cristiani di fede cattolica e ortodossa.
Immagini in cui il sergente maggiore Ciletti si fece ritrarre sorridente insieme a ragazzi dai capelli lunghi, con cappellacci in testa e donne dai vestiti poverissimi ma indossati dignitosamente, tutti appartenenti all’etnia zingara, che gli ricordavano tanto i poveri contadini del suo paese. La foto che ha acceso in me la febbre del ricercatore, è quella in cui Ciletti è in compagnia di tre ragazze vestite all’occidentale e dai tratti somatici particolari, e nelle quali io ho riconosciuto delle ebree appartenenti alla folta e facoltosa comunità di Karlovac e dintorni, la cui travagliata vicenda è narrata in alcune pubblicazioni dell’Esercito Italiano sul tema della occupazione italiana dal 1941 in Croazia. Una vicenda di umanità, dagli aspetti paradossali ma, sappiamo bene noi storici, di paradossi la Storia riempie le sue pagine.
Ebrei croati protetti dai soldati dell’Italia fascista delle leggi razziali.
L’arrivo dell’Esercito Italiano fu visto inizialmente dalle etnie non cattolico-croate come un sollievo, dopo le violenze a i massacri scatenati subito dopo la caduta della Yugoslavia dai nazionalisti croati Ustascia (per decenni sostenuti da Mussolini in funzione anti-slava). Indicativo il caso degli ebrei di Karlovac cui fu imposto dai croati di accogliere nelle proprie case e servire da domestici agli ufficiali italiani, compreso il generale Ambrosio, replicando l’esempio di Mostar e Zagabria dove gli Ustascia avevano schiavizzato immediatamente le famiglie ebree.
Paradossalmente a Karlovac questa misura apparentemente umiliante per gli ebrei, fu presa da essi come una benedizione, instaurando un rapporto di fiducia con gli alti ufficiali italiani, generale Ambrosio compreso, che li ritenne sotto la protezione dello Stato e dell’Esercito Italiano, visto che molti di essi parlavano la nostra lingua, avendo origini veneziane.
Ben presto gli Ustascia croati di religione cattolica, forti dell’appoggio nazista, aumentarono le violenze contro ebrei e altre etnie, rendendo precaria e ambigua la posizione degli italiani. Pressioni tali da ottenere da Mussolini e il suo Stato Maggiore, che il generale Ambrosio si ritirasse (compresa la banda musicale del nostro Ciletti).
Ciò avvenne negli ultimi mesi del 1941, e i croati si scatenarono nella pulizia etnica che ebbe come risposta la nascita di un forte movimento partigiano. Nel dicembre 1941 Ante Pavelic il leader degli ustascia dichiarava a Ciano di aver risolto la situazione degli ebrei nella stato indipendente Croato, poichè da 35.000 si erano ridotti a 12.000 facendoli emigrare…nei lager nazisti.
Sorte identica toccò agli zingari, compresi quelli ritratti sorridenti insieme al nostro Ciletti, salvo coloro che invece di farsi deportare, passarono nelle file della guerriglia comunista di Tito. Quando nel 1942, in una situazione degenerata e fuori controllo, gli italiani ritornarono a Karlovac e nella Kraina, sotto il comando del generale Roatta ad accoglierli non ci furono rose e fiori come avvenuto per il nostro Ciletti, ma agguati e colpi di cannone come narra nel suo diario un fascita della prima ora , il capitano modenese Enzo Poci:
-“ Prendo contatto con questo strano pittoresco mondo in cui italiani, croati, serbi, dalmati, mussulmani e bosniaci si incontrano e si accavallano… Straccioni indescrivibili. Facce false e traditrici. Donne schifose che lavorano e sfacchinano. Costumi svariati: dai berrettoni dalmati a forma di fez o di cocuzza […] agli scialli. […]. Asinelli nani, bestiame piccolo, viti basse: e una massa di bimbi cenciosi e luridi che mendicano. Dappertutto gli italiani stanno sul chi vive, muretti e reticolati di protezione intorno alle stazioni e ai posti di controllo e sorveglianza; le sentinelle tengono impugnato il fucile in posizione di sparo. Appena messo piede a Knin sento la voce tremenda del cannone. Sono 24 anni che le mie orecchie non lo sentivano e ne provo una certa emozione. Che triste arrivo”-!
Il generale Roatta ” la bestia nera” per gli slavi, con un passato coloniale, emanò la circolare 3C per rispondere “testa contro dente” agli attacchi dei partigiani, autorizzando rappresaglie, fucilazioni di massa e deportazioni di ostaggi.Crimini così odiosi da esser denunciati dagli stessi fascisti Ustascia, accuse poi replicate dalla Yugoslavia di Tito dal 1945, ma cestinate dal governo Badoglio prima e poi da quello repubblicano. Mancate risposte di giustiza che avvelenarono ancor più i rapporti tra i due popoli e di cui pagarono le conseguenze gli italiani rimasti oltre confine.
Gli ebrei che si rifugiarono nel lager italiano di Arbe
Paradossale la vicenda degli unici 3000 ebrei croati e ungheresi che sopravvissero in Croatia, poiché si rifugiarono nel campo di detenzione di Arbe, donando tutto ciò che avevano agli italiani, e che ebbero un trattamento più umano rispetto a quello inflitto alle famiglie slave ritenute fiancheggiatrici dei partigiani. Questo gruppo di ebrei fu l’unico che si salvò, poichè dopo il 25 luglio, alla caduta del fascismo, essi furono invitati a traslocare verso Trieste e Fiume , dove operava come vicequestore il montellese Giovanni Palatucci,…ma questa è un’altra storia.
Dal nostro cuore , nasce una, se pur flebile speranza, che tra coloro che si salvarono, grazie a questo risorgere di umanità , ci siano state anche quelle giovani ragazze ebree con le quali il nostro Ciletti si compiacque di farsi ritrarre.
di Antonio Camuso (Archivio Storico Benedetto Petrone)
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2020, anno XIV, n. 1)
Nota a piè pagina : nel campo di sterminio a Jasenovach (Bosnia) furono sterminati 50.000 zingari rastrellati dagli Ustascia croati di cui 28.000 erano croati, in sostanza l’intera popolazione zingara croata.15.000 bambini furono uccisi facendogli mangiare pane con soda caustica.Alla fine dell’Occupazione nazifascista in Yugoslavia furono ritrovati oltre 300.000 corpi di civili uccisi in fucilazioni, rastrellamenti e campi di detenzione-lager.
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