La signora Renata Campani, di Milano, si sta accingendo a scrivere un romanzo in gran parte ambientato a Bagnoli Irpino nel periodo tra gli anni ’20/’30 e gli anni ’50/’60 del secolo scorso, epoca a cui risale la nascita, infanzia e crescita della madre bagnolese che, per determinate ragioni, non ha mai conosciuto. Ci ha contattato nell’ottobre del 2018 per reperire materiale documentale (e non) per il suo libro. E’ poi venuta personalmente a Bagnoli, lo scorso mese di aprile, per conoscere meglio le sue origini, luoghi e persone che le «appartengono». A testimonianza delle intense emozioni vissute in quei giorni ci ha “regalato” questo bellissimo articolo. Buona lettura.
Tutto quello che resta
Ritorno alle radici: viaggio nelle origini a Bagnoli Irpino, Pasqua 2019.
Finalmente eccomi qui, catapultata con traiettoria precisa, da quel fortuito Nord, entroterra casuale della mia crescita.
Il mio sguardo è uno sguardo straniero. Ma nel suo sangue scorre qualcosa di simile alle radici di faggio nel vento, un vento di montagna freddo e sferzante ma, a tratti, anche intimo e gentile… E’ il vostro vento, la vostra stessa aria, ricolma di sentori di legna ardente, che ti scivola dentro e finché non lasci questa terra non ti lascia, e non ti lascia neppure quando sei ormai lontano perché continua a vivere, tangibile e odorosa, dentro le tue stesse fibre.
Ed è già nostalgia.
La singolare bellezza di Bagnoli Irpino ha il sapore, succoso e rotondo, di un esotico giardino botanico traboccante di tesori autoctoni… Nei giorni della Resurrezione di quest’anno, in questo giardino meraviglioso ho fatalmente lasciato il mio cuore, stemperandolo in un flusso silenzioso di lava purpurea che ha percorso ogni anfratto del paese e lì è rimasto, come un immane corpo liquido, invisibile e vibrante: lungo il disegno pulito della piazza principale, palpitante ma raccolta come un antico bonsai, in ogni scorcio e in ogni anfratto delle scoscese viuzze, sospese nel tempo, del centro storico d’impronta ebraica, srotolato come un rosario a ridosso della sorprendente Chiesa Madre… E l’ho lasciato anche lì, a lambire, in eterno incantato, gli infiniti giochi di chiaroscuro materico delle forme di quell’immenso Coro ligneo che ha sacrificato il Noce per renderlo immortale. E resta, ormai per sempre, avviluppato alla maestosa solitudine del Castello restaurato, al suo orizzonte alto e arioso ad abbracciare di inclusione le verdi montagne tutt’intorno… Imbrigliato nelle maglie della fitta vegetazione che trasfigura il rudere longobardo in un simulacro del tempo perduto… Adagiato nell’assolata tranquillità dell’altopiano poco più su, tra la brezza leggera e l’eco lontana d’uno sguardo di lupo… E poi ancora giù, ad attorcigliarsi come camaleontico serpente attorno al tronco e ai rami dell’antichissimo Carpine, figlio e padre della Torre dell’Orologio… E quindi ancora a scendere e rinfrescarsi nella fontana del Gavitone, più sotto… Per infine sciogliersi, ammaliato dall’inaudita dolcezza della Madonna di Marco Pino, da questo suo sguardo che pare scendere sulle teste e, come coltre di seta celeste, posarsi sui tetti e sulle anime, riempiendone ogni vuoto e accarezzandone ogni pieno, ammantandoli di sacralità famigliare e colorata…
E non c’è più nulla di teorico, alla fine, nella mia mente, di quel territorio tanto studiato sulla carta: perché ora sono sulla vostra terra viva e le mie suole vibrano della vita vera di tutti i luoghi del Mondo, che si coglie soltanto se li si solca nell’empirica realtà. E Di Capua, e Lenzi, e Cavaniglia, e Bucci, e Salvio, e Capozzi, e l’ipnotica magia dell’Irpinia di Aniello russo, e tutto il nominabile possibile che ha reso Bagnoli, nei secoli e attualmente, quel che è, tutto questo ora è un altro immenso corpo che posso toccare, odorare e vivere con il mio essere nella sua interezza: io, una miscellanea di materia e antimateria, come tutti, ma nata da chi è nato e cresciuto qui… Quelle radici di faggio nel vento, dopo quasi mezzo secolo, hanno trovato il loro humus in questo luogo, in questo scrigno luminoso a guisa di perla medievale. Ho aperto questo scrigno e ho indossato questa perla, la porto addosso anche ora che in questo mio Nord son tornata e insieme a lei mi sono vestita dei vostri sguardi incuriositi e lucenti, della vostra gentilezza, della vostra intelligenza e ironia, dei vostri sorrisi aperti e del vostro calore… Di tutto quello che fa della parola ”accoglienza” un vestito morbido dove poter affondare il viso di gioiosa commozione.
Senza questo vestito, Bagnoli Irpino sarebbe niente, e niente la sua bellezza se non aveste in voi, che l’abitate, il senso comune di quella bellezza stessa, come niente sarebbe la Terra senza l’umano, senza l’umanesimo, senza la coesione e senza un respiro globale che sia l’unione di tanti aliti e anche aneliti: ringrazio ogni singolo sguardo, ogni singola presentazione e stretta di mano, ogni abbraccio e ogni parola, ogni piccolo splendore intravisto o palesato… Perché di tutto questo io, col mio occhio straniero e vergine, ne ho un ricordo corale, immoto e fulgido, evocativo e melodioso come tante voci all’unisono.
Un grazie più raccolto e particolare a te, Maria, Assessore alla Cultura prima e soprattutto amica ora, perché, semplicemente, sei la summa di questa ricchezza e perché hai aggiunto al mio personale bagaglio un valore sconosciuto ed incantevole, quello della tua persona tutta. Senza contare l’apertura e la disponibilità dei tuoi cari e dei tuoi amici.
E un pensiero particolare anche a chi mi ha ospitato, Pascale, che nel suo splendido agriturismo”Nonna Pina”, una piccola oasi nell’oasi, mi ha permesso di sentirmi coccolata da una cucina prelibata e da un sonno ristoratore in una camera principesca.
Le vostre Grotte del Caliendo, scoperta e vitalizia passione di mio nonno Nino, mi aspettano entro la fine dell’estate ed io, confesso, sono già lì, tra di voi ancora, ancora a sentire il vostro bel dialetto e il vostro modo arguto di scherzare, ancora sulla panchina nella piazza, di fronte al portone natale materno, ancora a guardare di meraviglia il vostro cielo alto, carico di sentori di fiore… Ad attendere che anche il mio corpo mi raggiunga.
Da una citazione di una delle più importanti fotografe e attiviste della prima metà del XX secolo, Tina Modotti: “ Quello che tu ami rimane. Il resto è niente “. Questo pugno di case, arte, monumenti e anime, a girandola volano radenti nei miei mitologici paesaggi interiori e vi albergano, restandovi, ora e per sempre, nella prodigiosa e improvvisa alchimia creata da un amante sorprendente e inatteso.
Nei vostri sguardi e nei vostri tratti, la scia dei vostri avi lontani e vicini io rivedo, nelle pagine di inestimabile valore storico ed umano di Aniello Capozzi, la memoria fotografica della vostra collettività, visibile e consultabile grazie all’encomiabile lavoro di suo nipote Tobia Chieffo: senza questo profondo amore per la propria terra non esisterebbe nemmeno questa testimonianza fondamentale che diventa, per il mio studio personale, un aiuto determinante e insostituibile, perché non esiste nulla di suggestivo come le immagini, soprattutto quando si è alla spasmodica ricerca dei volti e delle espressioni della propria origine identitaria. In questo libro incantato ho trovato, sfogliandolo per caso, anche mia madre, nella grotta, con occhi già perduti e lontani, e insieme a lei, lungo lo sfogliare infinito di vicende , situazioni e agglomerati umani immortalati, i vostri nonni, i vostri genitori, i vostri stessi sguardi e, forse, anche il mio, tutti uniti e figli dello stesso sangue speziato di tartufo.
A presto.
Renata Campani
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