Un tè nel deserto

di Alejandro Di Giovanni

“…Un paese può morire anche pieno di gente se non contempla i tratti dell’umanità… Bagnoli è morto da quando ha voltato le spalle a chi chiedeva aiuto…”

A dire il vero non mi spaventa lo spopolamento di un paese, adoro gli spazi ampi e sgombri dalla presenza umana, rifuggo dal rumore inferto da aggregazioni di persone senzienti. L’idea affascinante di un luogo remoto e spettrale, di un deserto da vivere e riempire con il proprio sé da ritrovare e ritrovato, un vuoto interiore che si misuri con un vuoto esteriore, oggi è ciò che servirebbe ad ogni uomo della società di massa frenetica che, quotidianamente, logora pensiero, coscienza e consapevolezza con il pedissequo incedere dell’essere sempre connesso, in stato di ansia perenne per la sua continua spinta all’attestazione di sedicenti meriti da rincorrere.

Allora il paese ideale diventa un non-paese, vuoto e disconnesso, oppure, più moderatamente e plausibilmente, non troppo abitato e non troppo connesso.

Dal mio paese, Bagnoli Irpino, vanno via un po’ tutti prima o poi: chi non lo fa fisicamente, è costretto a farlo mentalmente per poter continuare a viverci. Bagnoli Irpino è una comunità che, per come la conosco io oggi, ti incoraggia ad andare. La mancanza di lavoro e prospettiva, certo, innanzitutto. A parte questo, anche laddove l’economia non dovrebbe costituire un motivo di separazione, ci pensa la gente e la mentalità chiusa di un paese di provincia proiettata nell’involuzione regressiva irrefrenabilmente più devastante.

 Allora la gente va via per mancanza di lavoro e di prospettive, ma poi, potendo tornare, magari non torna. Non torna perché la gente che ha lasciato quando è andata via, è rimasta la gente di sempre e di un tempo, conservatori con gli stessi difetti e i medesimi vizi. Intendiamoci, ogni paese è abitato da persone dalla dubbia etica modello, chi va via non è migliore perché va via, così come chi rimane non è migliore perché rimane, è bene sgombrare il dubbio da discorsi inaudibili. I tratti umani istintivi socialmente accettati come negativi, sono tratti trasversalmente affermati, ovunque.

Ciò che però sconcerta del nostro paesino che si svuota è la desertificazione umana e culturale: la concentrazione spaziale e temporale che ne consegue è asfissiante. Giusto porsi la questione dello spopolamento, quindi a favore di un ripopolamento, ma a monte pongo un’altra questione: con chi o cosa dovremmo occupare questi spazi sempre più vuoti che si aprono nel nostro paesino? Di persone, certo. Ma di che persone parliamo? Voglio dire, potrebbe essere di gran lunga preferibile il vuoto o l’aria, a persone spaventosamente malvage, inumane, vili. Prima di ripopolare, bisogna avere un piano di riscossa umana e culturale, liberal e progressista.

Popolare un paesino o il mondo con persone senza componenti di umanità, è di gran lunga peggio dello spopolamento, perché aria e vuoto non hanno mai nuociuto a niente e nessuno. Prospettive per l’avvento di persone probe e giuste, non ne vedo in luoghi più fertili, figuriamoci in un paesino dove l’egoismo si è erto a motivo di orgoglio, dove il prossimo non solo non si aiuta, ma si spera possa crepare per una vile e stupida speranza di poter vedere accrescere la propria già agiata condizione.

Se di questo un luogo, il mio paese, deve popolarsi, io sono contrario ad ogni forma che favorisca l’avvento di questo noto uomo malsano, a favore di una sana e purificatrice estinzione.

Spopolarsi per popolarsi meglio, perché popolarsi sulla base di quanto esiste oggi, pare decisamente una volontà contro il bene della stessa comunità e umanità. Allora un paese può morire anche pieno di gente, perché la gente non basta in sé, se non contempla i tratti dell’umanità, dei valori positivi che in essa giacciono e che dovrebbero germogliare.

Cosa vogliamo lasciare al mondo? Di questo, bisogna innanzitutto interrogarsi, prima di colmare gli spazi vuoti. Il mondo sarà un posto migliore se chi verrà seguirà le orme catto-razziste della maggioranza che oggi vive in paese? La riproduzione dell’uomo bagnolese contemporaneo medio, a sua immagine e somiglianza, può salvare solo in apparenza un paese, se quel paese pensa solo a quel paese, se la gente pensa solo a quella gente.

Bagnoli è morto da quando ha voltato riprovevolmente le spalle a chi chiedeva aiuto, con ingordigia e viltà, negandolo per una appropriazione di presunta superiorità razziale e titolarità dello spazio abitato. Un paese non è abitato da “uomini” solo perché in massa si incolonnano con falsa misericordia dietro a ritrovi praticanti, udendo e cantando ai quattro venti la loro sconcertante e paradossale condotta tra il far credere e credersi e l’essere e il fare. Essere migliori e poi, semmai, essere di più; popolarsi d’altro o spopolarsi, ma non di questi. Meglio il vuoto piuttosto, il silenzio, l’aria, un tè nel deserto ad una camomilla nel deserto di una umanità assopita di un paese affollato.

Alejandro Di Giovanni   

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