Una lotta che non finisce mai

di Antonio Cella

La mia non è retorica. E’ soltanto un j’accuse indirizzato ad Aldo Cazzullo al quale, un lettore del Corriere della Sera di martedì 31 maggio c.a., faceva giustamente notare che in occasione della dipartita di Ciriaco De Mita i quotidiani del Nord erano stati piuttosto avari nell’esprimere un flebile cordoglio a chi di dovere e ai familiari dello statista e piuttosto abbondanti nel discriminare il suo passato di politico sempre disponibile al favoritismo verso la gente della sua terra d’origine, dimenticando che ha ricoperto cariche di Segretario di lungo corso della DC (la famosa balena bianca), di Ministro e soprattutto di uomo sempre pronto a tendere la mano a chi ne avesse bisogno senza tener conto della natura geografica delle persone e della loro scaturigine partitica.

È  stato un momento d’orgoglio per noi Irpini vedere dietro il feretro il Presidente della Repubblica, Il Presidente della Regione Campania, i Sindaci Irpini e diecine di parlamentari vecchi e nuovi di ogni estrazione politica, amministratori di aziende importanti, uomini e donne del mondo della cultura scesi a Nusco da ogni parte d’Italia.

Il lettore che, da Brescia, aveva arringato il giornalista, aveva fatto presente l’acribia e, in un certo senso, l’indifferenza della stampa del Nord verso il momento luttuoso, come si evince nel passaggio che segue: “…bastava un trafiletto in prima pagina per ricordare la morte di Ciriaco De Mita. Le due pagine interne sono state semplicemente l’apologia di un reato ovvero il reato di danneggiamento della cosa pubblica”. 

E Cazzullo, con marcata sofferenza, risponde così:

Su De Mita, inutile negarlo, pendeva un pregiudizio anti-meridionale. Oltretutto non era un raffinato napoletano, ma un orgoglioso provinciale irpino. E, per gonfiare il suo parere, chiama in aiuto un altro campione del Nord Italia, originario di Fucecchio, di nome Indro Montanelli, fascistoide oltre che grande giornalista, già gambizzato dalle brigate rosse per la sua arroganza, che non diceva mai no quando si trattava di arringare i politici in auge, specie quelli di origini meridionali, che considerava di scarso valore culturale e morale.

“Non mi piacciono né lui né Craxi. Ma Craxi si sveglia a Milano, e ha una visione del mondo. De Mita si sveglia a Nusco, e ha la visione dei caciocavalli appesi.”

Stupidaggini, che denotano pochezza di serietà e contestualmente una rotondante spocchia, non da intellettuale qual era, ma quella di uno sprovveduto che, pigiando sulla connotazione ideologica-discriminatoria, credeva di far ridere la gente.

E, ritornando a Cazzullo, che certamente non è un novello Alessandro Manzoni, ha trovato il momento opportuno per sfogarsi a modo suo: “De Mita era un battutista formidabile; ma alle battute preferiva i ragionamenti. Con la “T”.

Io credo che Ciriaco usasse intenzionalmente la parlata nuscana quando si incontrava con “personaggi” antipatici, usando cioè la lettera “d” nelle finali di parole con la “t”. A mio avviso, il suo era puro menefreghismo, di cui si serviva anche quando colloquiava con prelati di alto rango, statisti, costruttori di automobili e via dicendo.

Era un simpaticone.

Lui, Montanelli, nel 1936, all’età di 26 anni, in omaggio al Duce Benito, militava con i cercatori di “colonie” in Etiopia. Era un capò col grado di tenente che faceva di tutto, in quella triste e sabbiosa immensità, pur di accoppiarsi con una donna. Ma per averla, non ha potuto servirsi del suo fascino piuttosto repulsivo, ha dovuto sborsare la somma di 500 lire, un cavallo e un fucile al genitore di una creola adolescente. La sua “docile animaletta”, svolgeva per lui funzioni di cameriera e di compagna d’alcova. La ragazza, aveva una età compresa tra i dodici e i quattordici anni (You Tube dixit). Le adultescenti etiopi, erano protette dagli usi locali del “Madamato”, definizione italiana del matrimonio essendo le spose considerate le “madame dei soldati”, e rappresentavano l’alternativa per i quadri militari da preferire alla frequentazione delle “case chiuse” degli “assatanati invasori”, per evitare il contagio di malattie veneree trascurabili.

Se lo scrittore della “Olivetti 22” avesse fatto i suoi irresponsabili passi qualche decennio più vicino alla fine del secolo scorso, sarebbe stato incriminato per abuso di minorenne se non addirittura di pedofilia (La Repubblica – Archivio 25/1/1989).

L’ultima lite con De Mita l’ha avuta quando fu denunciato dal nostro conterraneo per avergli dato del Padrino: “De Mita usa uno stile da “padrino”, personalistico e paternalistico. Non è un mistero che tutto il vertice del partito democratico è composto da un pretorio di cumparielli delle sue terre che sappiano soprattutto giocare al tressette.”

Passando dalla politica allo sport, si può notare con evidenza palmare che l’odio verso gli italiani del Sud da parte di quelli del Nord non ha perduto un milligrammo di densità. Neppure il dolore che, come tutti sappiamo, ha decimato i nuclei famigliari, riesce a frenare la loro avversione verso di NOI. Per me, è una questione di cultura. Altrimenti non ci sarebbero motivi per sventolare, nello stadio di calcio della città di Bergamo, nientemeno che le coordinate geografiche di Napoli agli armigeri di Putin, ultimo zar della smembrata madre Russia, affinché i siluri possano arrivare a colpire, con la massima precisione, quello che il Vesuvio non è riuscito a fare.

Antonio Cella

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