La foto sui social delle mani unite racchiude riconoscenza e incitamento. È il gesto di Ettore che sfilatosi l’elmo, compie con Astianatte.
Due mani, solo due mani che si prendono. La foto che Niccolò Zanardi ha pubblicato su Instagram ha la forza devastante della semplicità. E della purezza. Quell’immagine ha una temperatura. Guardandola si avverte il calore del contatto, la rassicurazione che ora viene trasmessa dal figlio al padre, a ruoli rovesciati: «Forza papà, ti aspetto. Torna presto».
Niccolò non metteva sui social suoi pensieri o foto da cinque anni. Le ultime sono istantanee del mare, con gli amici. È tornato a farlo, immagino, per far sentire, come può, l’energia di quel contatto con la mano di suo padre adagiata su un lenzuolo di ospedale. L’energia e la sua universalità. Quel gesto è semplice, naturale come quello che un padre compie levando in alto il proprio figlio piccolo. È il gesto di Ettore che sfilatosi l’elmo, compie con Astianatte. Quello che Luigi Zoja così definisce: «Questo gesto sarà per tutti i tempi il marchio del padre».
Quelle due mani raccontano un legame indissolubile, un fluido di vita che scorre in due direzioni. È un modo per ringraziare per quello che si è avuto, di cure e protezioni, per tutta la vita. È un modo per infondere all’altro, oggi più debole, la forza che promana dalla profondità dell’amore che lega, quando riesce a farlo, padre e figlio. Alex Zanardi è accompagnato, in questa battaglia, dal soffio di milioni di persone che lo amano, lo rispettano. E lo ammirano. Per la forza e la dolcezza del suo vivere. Papa Francesco, nella lettera pubblicata dalla Gazzetta dello Sport, ha detto: «Grazie per aver dato forza a chi l’aveva perduta».
Zanardi non ha coltivato rabbia, non ha maledetto il destino che con lui si è accanito oltre ogni limite. È caduto, si è rialzato. Ha sofferto dentro di sé, immagino in che modo terribile. Ha sofferto ma ha sorriso e ha trasferito al prossimo voglia di vivere, serenità, fiducia nelle proprie possibilità. Non ho la presunzione di leggere la ragione intima di scelte così profonde. Ma sono padre, senza essere stato figlio di un padre. E credo che in quel sorriso di Zanardi ci sia stato anche l’amore per un bimbo che aveva tre anni quando c’è stato l’incidente. Credo che quel sorriso, quella scelta di ricominciare a vivere e a fare sport siano nate anche dal desiderio di regalare sicurezza e fiducia a un bambino che cresceva. Il doppio dello sforzo, per la serenità di un figlio. E poi degli altri, quelli che amano il suo modo di parlare, di pensare, di raccontare. Quelli che invidiano la sua forza e ora sono lì per sostenerlo, grati. La mano di Niccolò racchiude riconoscenza e incitamento. È un legame fisico unico, che solo un figlio può sapere e vivere. Ma è universale, ci appartiene. Niccolò si è fatto padre. E il suo gesto, davvero, ora è « il marchio del figlio».
Water Veltroni (dal Coriere della Sera del 24.6.2020)
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